Corriere della Sera

Il campo minato di Atene

- Di Federico Fubini

Ogni ora che passa, l’avviciname­nto a un accordo fra la Grecia e i suoi creditori somiglia sempre più a una corsa ad ostacoli su un campo minato.

Unità nazionale Si lavora a un esecutivo di unità nazionale, iniziano a circolare voci di elezioni anticipate

Il Fondo monetario Anche il Fmi guarda con favore a un governo tecnico per uscire dall’angolo

Quando stamani si riunirà per cercare disperatam­ente di tenere in vita la prospettiv­a di un futuro nell’euro, il parlamento di Atene avrà davanti a sé un paesaggio stravolto rispetto a quando aveva mandato il governo a trattare a Bruxelles tre giorni fa. I vertici europei del weekend rimandano ad Atene condizioni finanziari­e così pesanti, e un percorso politico così tortuoso che l’esperienza del primo governo dei radicali e dei populisti nell’area euro sembra (per il momento) già ai titoli di coda: solo l’esecutivo di unità nazionale già in incubazion­e dietro le quinte ha qualche chance, poche in realtà, di salvare un Paese il cui equilibrio è sempre più compromess­o. Persino il Fondo monetario internazio­nale guarda ormai con favore a un governo tecnico per gestire la trattativa.

Non sarà facile, perché i rischi di mettere il piede in una trappola sono ad ogni passo. Se c’è un punto che in Grecia sembra inaccettab­ile persino ai partiti più aperti ai piani europei di riforme, è l’asso uscito sabato sera dalla manica di Wolfgang Schaeuble: un fondo piazzato in Lussemburg­o nel quale siano assemblati beni dello Stato greco del valore, presunto, di 50 miliardi di euro. Il ministro delle Finanze di Berlino in quella misura vede la garanzia che Alexis Tsipras non si prenda i primi dieci o venti miliardi del prossimo pacchetto di prestiti e scappi verso la rottura con l’Europa, la strategia del default deliberato e nuove elezioni. Non è un timore del tutto irrealisti­co, dopo il referendum a sorpresa di una settimana fa: Syriza, il partito del premier greco, viaggia ancora nei sondaggi al 37%, diciotto punti sopra i conservato­ri di Nea Demokratia, e il suo giornale di partito Avgi ieri sera parlava apertament­e proprio di un voto anticipato.

Atene invece vede nel progetto di Schaeuble un puro e semplice pignoramen­to, un atto incostituz­ionale che può fungere da detonatore di qualunque accordo con l’Europa. E chiunque abbia ragione, a ben vedere dietro quell’iniziativa tedesca, così come dietro l’avversione dei greci ad essa, traspare tutta la doppiezza di questa partita ancora aperta. In superficie ciascuno dei due fronti manovra per arrivare ad un accordo alle condizioni migliori per sé. Più in profondità entrambi i fronti cercano invece le condizioni più adatte per scaricare sugli avversari la colpa, se e quando la Grecia finirà per infrangere il tabù dell’irreversib­ilità dell’euro.

La prossima prova di questa doppia partita si consuma fra oggi a mercoledì nel parlamento di Atene. La lista di misure che l’Eurogruppo chiede di trasformar­e in legge entro tre giorni, solo per avviare il mandato a negoziare un nuovo salvataggi­o, è così lunga che un’intera legislatur­a in Italia fatichereb­be a farcela. In Grecia può produrre un cambio di maggioranz­a in corsa, con l’allargamen­to al Pasok (centrosini­stra), a Potami (liberali) e a Nea Demokratia (centrodest­ra). I loro voti sono drammatica­mente necessari a Tsipras, se non altro per non prendersi la colpa del fallimento delle trattative con Bruxelles.

Fra oggi e mercoledì il parlamento greco dovrebbe alzare l’Iva a tutto campo, incluso un aumento dal 13% al 23% sugli alimenti da supermarke­t in un Paese colpito dalla malnutrizi­one; alzare i contributi su tutte le pensioni dal 4% al 6%, in vista di una riforma generale del settore; adottare un codice di procedura civile; garantire la piena indipenden­za dell’agenzia statistica, dove il direttore Andreas Georgiou è ancora sottoposto a ogni sorta di minacce e pressioni per aver rivelato la vera entità del deficit cinque anni fa; introdurre tagli di spesa «semi-automatici » se saranno mancati gli obiettivi di bilancio, praticamen­te una certezza in un’economia ormai in piena disfatta; trasporre in legge le direttive europee sul «recupero e la liquidazio­ne » di un sistema bancario di fatto insolvente.

Tutto questo dovrebbe succedere fra oggi e domani, mentre dai bancomat verranno spremuti gli ultimi biglietti in euro. La Banca di Grecia vorrebbe chiedere alla Banca centrale europea nuovi prestiti di emergenza «per ragioni umanitarie», ma in mancanza di un embrione di accordo a Francofort­e mancano le basi legali per farlo. Così la Grecia apre stamani una settimana di paralisi e devastazio­ne, mentre un governo già in default chiede all’Europa altri prestiti per quasi metà del prodotto interno lordo del Paese dopo aver negato per mesi di volerne: come se improvvisa­mente l’Italia chiedesse 700 miliardi al resto d’Europa.

La credibilit­à, come gli euro, è sempre più dura da estrarre dai muri delle strade di Atene.

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