QUANDO SCOPRII IL TELEFONINO
Dall’ostentazione dell’apparecchio fino all’uso comune Genesi di un oggetto che ha cambiato la nostra vita
Nel 1995, trentenne, detestavo i cellulari. Oggi mi affascinano: ci danno la possibilità di usare altri linguaggi. Sono pervasivi, sì: ma ho trovato un antidoto.
Il 14 luglio, lo sappiamo, è una data simbolica: la presa della Bastiglia. Ma vent’anni fa, appunto, il 14 luglio 1995, a seguito di una scorporazione, nasceva Telecom Italia mobile, primo gestore telefonico nazionale di telecomunicazioni radiomobili (Tacs e Gsm). Non significa che il cellulare sia nato allora, però l’etere italiano aveva ora un gestore specifico: una specie di rivoluzione.
All’epoca, trentenne, detestavo i cellulari. Soprattutto l’atteggiamento di quelli che già l’avevano. Cioè, al ristorante, si sedevano, tiravano fuori l’oggetto e le mettevano sul tavolo. Altri lo tenevano in un astuccio attaccato alla cintura, sembrava una pistola, o di fianco o dietro al coccige — tra l’altro quest’ultima posizione era un segno distintivo di alcuni pistoleri camorristi. Non so, mi sembrava tutto esagerato, ostentato, cibo e cellulare e nuove buffe e posticce prominenze del corpo. Una volta andai a cena con un amico, mi venne a prendere e lo trovai al cellulare. Continuò la conversazione fino al ristorante, a metà cena ricevette un’altra telefonata che si protrasse fino al dessert, poi, tornando in macchina, chiamò la moglie e mi salutò mentre continuava a parlare: si era nel 1996. Fu l’unica volta della mia vita che mi chiesi seriamente: dove andremo a finire? Dico subito, per evitare quelle inutili suspense narrative che oggi io, quasi cinquantenne, mi siedo al ristorante e tiro fuori il cellulare: quel gesto che mi appariva volgare vent’anni fa, ora mi sembra perfettamente naturale. Poi lo uso molto, spesso comunico con mia figlia, nell’altra stanza, via wapp, e vengono fuori conversazioni interessanti.
Sì, l’oggetto mi piace, mi affascina anche per questo: ci dà la possibilità di usare un altro linguaggio, quante cose non avremmo detto o osato dire se non ci fossero i messaggi. Sì, mi piace, dunque lo uso e mi prendo i rimproveri dei miei figli che mi dicono: almeno a tavola... C’è un’altra ragione di fascinazione: il cellulare individua un aspetto specifico della produzione di oggetti nella modernità. Per dirla alla Matt Ridley, le idee messe insieme fanno sesso, tanto è vero che il cellulare nasce da tre ordini di idee: la plastica, l’elettronica, il design.
Se ci pensiamo un attimo è sorprendente conteggiare le persone che hanno lavorato (localmente e globalmente) per produrre il mio cellulare. A parte la plastica che deriva dal petrolio — quanti geologi hanno individuato la vena petrolifera, quanti ingegneri hanno progettato le piattaforme, quanti operai l’hanno realizzate, e poi l’industria di trasformazione — a parte la plastica, dicevo, c’è da considerare che un microchip, cioè un circuito elettronico stampato su un centimetro quadrato di silicio, è disegnato da più ditte informatiche (spesso in diverse parti del globo) e assemblato da altre e differenti ditte. Poi c’è il design e l’innovazione che è velocissima (si investe tanto in ricerca): chi comprerebbe oggi un cellulare vecchio di appena cinque anni, se non per gusto vintage? Un prodotto globale, una catena di valore molto lunga ( e chissà quante parti di questa catena ignoriamo e non regolamentiamo), ma funziona così e sarebbe utile studiarla per orientarci in questa complessa modernità. Però le rivoluzioni non sono pranzi di gala, e i costi ci sono. Quell’incredibile varietà di suonerie che squillano ad alto volume (che bello quando inventeranno un’applicazione che ci permetterà di rispondere al cellulare senza suoneria), l’invadenza delle conversazioni, soprattutto quelle indiscrete che ti costringono ad ascoltare — lo diceva anche Oscar Wilde, non esistono domande indiscrete, solo le risposte lo sono — la rintracciabilità perenne, tanto che anche io, da fanatico, penso che avremmo bisogno di quindici e più minuti di privacy, per legge. Infatti, ho cominciato a spegnere il cellulare, per una o due ore e vi garantisco è un bel cambio di passo: il silenzio, la concentrazione ritrovata o il dolce far niente. Allo stesso modo vi devo confessare il piacere di riaccendere il palmare e trovare un sacco di chiamate e messaggi, la solitudine si apprezza meglio solo se sai che qualcuno ti cerca.
Nel 1995 Il 14 luglio di vent’anni fa nasceva il servizio mobile in Italia con un gestore dedicato Contatti continui Siamo sempre connessi e raggiungibili Il fastidio e il piacere di non sentirsi soli