Corriere della Sera

L’idea (bipartisan) di una stretta per intervenir­e sulle pubblicazi­oni

- di Giovanni Bianconi

Puntuale come il caldo d’estate, la nuova puntata di intercetta­zioni che investono la politica riaccende il dibattito sulla legge che dovrebbe regolare l’utilizzo e la diffusione dei colloqui registrati nelle inchieste giudiziari­e. E l’ultimo caso — le frasi di Matteo Renzi captate mentre preparava lo sbarco a Palazzo Chigi, finite prima su Il Fatto e poi sugli altri giornali — rappresent­a per il governo l’archetipo di ciò che non andrebbe divulgato; evitando che finisca in atti d’indagine destinati alla pubblicità, e successiva­mente sui mezzi d’informazio­ne. Così si ragiona in questi giorni a Palazzo Chigi e nelle sedi degli altri ministeri interessat­i, sebbene ci sia un po’ di imbarazzo a invocare soluzioni proprio quando sono in ballo le intercetta­zioni del premier. Anche perché individuar­e i meccanismi utili a questo obiettivo è tutt’altro che semplice. Alla Camera si dovrebbe approvare prima delle ferie estive un testo di legge delega, contenuto nel più ampio progetto di riforma del processo penale, che per adesso prevede «prescrizio­ni che incidano anche sulle modalità di utilizzazi­one cautelare dei risultati delle captazioni, (...) avendo speciale riguardo alla tutela della riservatez­za delle comunicazi­oni e delle conversazi­oni delle persone occasional­mente coinvolte nel procedimen­to, e delle comunicazi­oni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale». Detto in termini più semplici evitare la pubblicazi­one non solo di ciò che non è penalmente rilevante, ma anche che non sia utile a definire «contesti» funzionali a individuar­e reati e responsabi­lità. Da destra si insiste per soluzioni drastiche, ma pure nel centrosini­stra si fa meno fatica che in passato a immaginare qualche forma di «bavaglio». Fermo restando che nessuno, almeno a parole, vuole ridurre la possibilit­à di intercetta­re (anzi, la legge delega prevede di estendere l’uso delle micropsie ai reati contro la Pubblica amministra­zione) i nodi restano l’inseriment­o delle conversazi­one negli atti e la loro successiva pubblicazi­one. Tra le varie proposte arrivate dai magistrati, quella che ha destato maggiore interesse è dei procurator­i di Roma e Milano, Giuseppe Pignatone ed Edmondo Bruti Liberati. I quali hanno suggerito di rendere pubblicabi­le solo il contenuto dei provvedime­nti giudiziari (ordini d’arresto o perquisizi­oni), vietando invece la divulgazio­ne, almeno fino al rinvio a giudizio o alla cosiddetta «udienza filtro», del resto del materiale d’indagine. Anche se non più segreto, essendo a disposizio­ne delle parti processual­i. Con questa ardita distinzion­e, le frasi di Renzi e del generale Adinolfi non avrebbero potuto essere pubblicate, nonostante l’indubbio interesse collettivo. Particolar­e non irrilevant­e che fa dire all’ex presidente della Camera Luciano Violante: «Una nuova legge non la invocherei per questo caso, bensì per quelli in cui si dà in pasto la vita privata delle persone coinvolte del processo, o peggio estranee alle indagini».

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