PIRATI INFORMATICI LA SICUREZZA DEGLI STATI
Da tre anni Assange è rinchiuso, a Londra, in 5,5 metri quadrati. Se mettesse solo un piede fuori dell’Ambasciata dell’Ecuador, verrebbe catturato dagli americani. Il peggiore dei criminali? Al contrario, il mondo gli dovrebbe riconoscenza. La sua colpa? Quella di aver fatto conoscere la verità, svelando i più feroci crimini di guerra degli Usa. Il massacro in Iraq di civili e di bambini, ripreso da un elicottero e accompagnato dalle risa e i commenti sarcastici dei criminali di guerra statunitensi. Di fronte al mondo che rimane indifferente, di fronte alla Francia che, già campione di libertà, rifiuta vilmente di aiutare Assange, solo il piccolo Ecuador si erge come un Davide in difesa della libertà di parola e di stampa. Caro Pelino, na precisazione, anzitutto. Se uscisse dall’Ambasciata dell’Ecuador a Londra, Julian Assange verrebbe probabilmente arrestato e inviato a Stoccolma dove lo attende un giudice istruttore che indaga sulle violenze sessuali di cui il giovane australiano è accusato da due donne svedesi. Può darsi che gli americani ne approfitterebbero per chiedere alla giustizia britannica di consegnarlo a quella degli Stati Uniti. Ma il reato di cui lo si incolpa sarebbe stato commesso in Svezia e non giova alla sua immagine di intemerato paladino della pubblica moralità.
Questo non toglie che nella divulgazione di documenti segreti WikiLeaks abbia avuto un ruolo, a mio avviso, costruttivo. La legge sulla sicurezza dello Stato approvata dal Congresso degli
UStati Uniti dopo l’attentato dell’11 settembre (il «Patriot Act») dava ad alcune istituzioni pubbliche (Fbi, Cia, altre agenzie di Stato) il diritto di interferire pesantemente nella vita privata di singoli cittadini, associazioni, aziende. Le nuove tecnologie, da allora, hanno enormemente ampliato gli orizzonti della intercettazione e dell’ascolto. Chi può garantire che questo enorme bottino d’informazioni venga utilizzato esclusivamente per la sicurezza dello Stato? Chi può garantire che il criterio della segretezza, a cui si appellano gli Stati, serva soltanto a meglio proteggere le società da minacce terroristiche? Possiamo escludere che serva anche a coprire comportamenti illegali al servizio di obiettivi moralmente e politicamente discutibili? Come ha ricordato sul New York Times Edward Snowden (il collaboratore della Cia protagonista di altre «fughe»), le rivelazioni di WikiLeaks hanno costretto la National Security Agency a rivedere alcuni dei suoi metodi. Ma esiste un aspetto della vicenda, caro Pelino, che è impossibile ignorare. Non esiste soltanto il grande orecchio americano o quello, non meno efficace e invadente, della Gran Bretagna. Esistono anche gli orecchi della Cina, della Russia e di altre potenze. In un articolo recente ( Repubblica del 5 luglio) uno studioso americano, Moisés Naím, ha scritto che il numero dei pirati informatici sta rapidamente crescendo e che gli attacchi cibernetici sono sempre più frequenti. Possiamo certamente lamentare le intrusioni di certi Servizi occidentali; ma non sino al punto di rendere il lavoro più semplice per i concorrenti di altri Paesi.