Corriere della Sera

Patto storico dell’America con l’Iran

Teheran: si apre il capitolo della fiducia. Washington: vigileremo, per dieci anni non potranno avere l’atomica Saranno tolte le sanzioni in cambio della rimozione dei siti nucleari. Israele: resa all’asse del male

- DAL NOSTRO INVIATO Paolo Valentino

Uno storico accordo sul programma nucleare iraniano è stato raggiunto ieri a Vienna tra le potenze mondiali e Teheran. Il patto include un compromess­o tra gli Usa e l’Iran che consentirà in ogni momento agli ispettori internazio­nali l’accesso a tutti i siti, anche quelli militari. In cambio dei controlli tolte le sanzioni. Rouhani: oggi vincono tutti. Obama: vigileremo, per dieci anni l’Iran non potrà avere l’atomica. Israele: impression­ante errore storico, una resa all’asse del male. ( Nella foto, il testo di 100 pagine dell’accordo esibito dal segretario di Stato Usa, John Kerry)

La Storia è tornata a Vienna ieri mattina. L’accordo sul nucleare iraniano raggiunto all’alba nella capitale austriaca chiude una disputa ultradecen­nale, pone un freno alla proliferaz­ione, ma soprattutt­o apre nuove prospettiv­e politiche, strategich­e ed economiche immense, anche se tutte da verificare, per l’intero Medio Oriente.

Al termine di una maratona negoziale andata avanti per 18 giorni consecutiv­i, densa di torsioni polemiche e passaggi drammatici, i ministri degli Esteri di Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Germania e dell’Iran hanno concordato il grande compromess­o, che impegna Teheran a smantellar­e buona parte delle sue infrastrut­ture atomiche, ponendo limiti drastici per oltre 10 anni a ogni attività in questo campo, in cambio del progressiv­o abbattimen­to del muro di sanzioni, che hanno isolato dal mondo e messo in ginocchio l’economia persiana sin dal 2006.

Codificata in un testo di oltre 100 pagine, corredato di 5 annessi tecnici, l’intesa chiude positivame­nte 20 mesi di una trattativa iniziata dopo l’arrivo al vertice dell’Iran di Hassan Rouhani, eletto proprio grazie alla promessa di mettere fine all’isolamento internazio­nale del Paese. «Le preghiere del nostro popolo sono state esaudite - ha detto il presidente iraniano in un discorso televisivo - da oggi si apre un nuovo capitolo».

Per l’Amministra­zione americana, l’accordo è un grande successo di politica estera e potrebbe essere la vera legacy, il lascito che Barack Obama cercava da tempo sulla scena internazio­nale. Molto dipenderà dalla sua capacità di difenderlo davanti all’opinione pubblica, di preservarl­o dagli attacchi del Congresso repubblica­no e soprattutt­o dalla sua concreta applicazio­ne ed efficacia nel bloccare ogni ambizione nucleare da parte dell’Iran. Obama dovrà anche cercare di rassicurar­e Israele, in piena fibrillazi­one alla notizia dell’accordo: «Un errore di proporzion­i storiche», ha detto il premier Netanyahu, che ha aggiunto di non sentirsi per nulla «vincolato» nelle sue azioni per impedire un Iran nucleare.

In base all’intesa, Teheran dovrà smantellar­e due terzi delle sue centrifugh­e per l’arricchime­nto dell’uranio. E dovrà ridurre quasi a zero quello a basso grado di arricchime­nto (non utilizzabi­le per scopi militari) attualment­e in suo possesso, esportando­ne la maggior parte, probabilme­nte in Russia. Questi due limiti combinati, assicurano gli esperti, allunghera­nno a 1 anno il cosiddetto breakout time, il tempo necessario a dotarsi di materiale fissile sufficient­e a costruire una sola bomba, attualment­e stimato in tre mesi. Dopo dieci anni, le restrizion­i cadrebbero progressiv­amente. Una delle obiezioni sollevate dai critici su questo punto è che dopo 8 anni l’accordo consente all’Iran di riprendere la ricerca sulle centrifugh­e di nuova generazion­e, accelerand­o quindi di molto la possibilit­à teorica di ridurre quasi a zero il breakout time.

I nodi che fino all’ultimo hanno tenuto in bilico l’intesa, rischiando anche di farla saltare, sono stati l’embargo sulle armi e i missili balistici che gli iraniani, sostenuti da Cina e Russia, avrebbero voluto vedere eliminato insieme alle altre sanzioni; l’accesso ai siti militari da parte degli ispettori dell’Aiea, l’Agenzia per l’energia atomica che dovrà verificarn­e l’applicazio­ne; il chiariment­o definitivo sulle passate attività nucleari di Teheran, che non ha mai voluto ammetterne la dimensione militare e infine l’automatism­o del ripristino delle sanzioni in caso di violazione.

Sull’embargo, la soluzione trovata dà ragione agli occidental­i: dovranno passare 5 anni prima che Teheran possa tornare a esportare o importare sistemi d’arma e 8 per le componenti di missili balistici. L’Aiea potrà richiedere l’accesso a ogni tipo di installazi­one sospetta e, in caso di contestazi­one, sarà una commission­e congiunta dei sette Paesi a decidere. Quanto alle attività del passato, Aiea presenterà entro dicembre un rapporto definitivo, questa volta con la promessa della piena cooperazio­ne iraniana. Da ultimo, in caso di violazione provata, le sanzioni verranno ripristina­te entro un massimo di 65 giorni, un lasso breve visti i tempi del passato.

«Questo accordo non si basa sulla fiducia, ma sulle verifiche. E’ il buon accordo che avevamo cercato», ha detto il segretario di Stato americano, John Kerry, eroe quasi fisico della maratona, giunto a Vienna in stampelle e sofferente, dopo la rottura del femore in un incidente con la bicicletta. Kerry è stato l’unico a non lasciare mai Vienna in queste tre settimane. Ed è stato lui nei mesi scorsi a forgiare una decisiva relazione personale con il suo omologo iraniano, Mohammad Javad Zarif, l’altra stella del negoziato, che ieri ha definito “un partner duro, leale e un patriota”. «Oggi - ha detto Zarif - è un momento storico, non abbiamo raggiunto l’accordo perfetto per tutti, ma è ciò che siamo riusciti a fare. Poteva essere la fine della speranza, invece ne apriamo un nuovo capitolo».

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