LE SPERANZE E I RISCHI
Per alcuni è un trionfo, per altri una sciagura, per i più ragionevoli una grande speranza tutta da verificare. Dopo tredici anni di controversie sui programmi nucleari iraniani e trentasei di consolidata inimicizia tra l’America e Teheran, non si poteva pretendere che le trombe squillassero ovunque. Ma è proprio la sua straordinaria complessità, sono proprio le grandi sfide geopolitiche che l’accompagnano, a fare dell’accordo di Vienna un evento epocale. Al Palais Coburg della capitale austriaca non è stato soltanto portato a termine uno scambio tra la rinuncia all’arma atomica da parte iraniana e la revoca delle sanzioni da parte occidentale, russa e cinese. Si è tentato, piuttosto, di costruire il trampolino di una storia diversa in aree che sono in buona parte all’origine dell’instabilità mondiale. Con i rischi che ogni salto dal trampolino comporta.
Dalle rive del Danubio parte un’onda lunga che non piace a tutti. Il mondo intero subisce le ripercussioni della guerra inter-islamica tra musulmani sunniti e musulmani sciiti. Anche il terrorismo jihadista, che spesso e in modo drammatico si esprime in funzione anti-occidentale, affonda le sue radici nella lotta per l’egemonia che scuote e insanguina il mondo musulmano ben più del nostro. Ebbene, quale messaggio giunge da Vienna? Che l’Iran sciita è diventato più forte.
Più forte nell’economia, con l’abolizione progressiva e condizionata delle sanzioni antiatomica. Ma di conseguenza anche in campo militare dove i fornitori abbondano e basta poter pagare, a dispetto dell’embargo sulle armi che resterà in vigore per cinque anni invece dei dieci originali. E dunque sarà più forte, l’Iran, nella sua influenza regionale, nell’avere ormai un canale aperto con la Casa Bianca, nell’essere una punta di lancia (con molte silenziose gratitudini occidentali) contro i sunniti dell’Isis in Siria e ancor più in Iraq. I nuovi equilibri che l’accordo disegna saranno graditi al traballante presidente siriano Bashar al-Assad, ai libanesi di Hezbollah, forse persino ad Hamas. Ma non piaceranno di certo alle monarchie sunnite del Golfo. Non piaceranno all’Arabia Saudita, il cui nuovo re Salman è di fatto già in polemica con Washington.
E soprattutto non piaceranno a Israele. Il premier Netanyahu ha parlato ieri di errore storico come fa da tempo, ha previsto una futura «superpotenza nucleare terrorista» esprimendo così la sua totale sfiducia negli impegni presi dall’Iran. Impegni che peraltro, ove rispettati, ritarderebbero soltanto l’armamento nucleare di Teheran senza impedirlo. Tanto più che i freni posti all’arricchimento dell’uranio saranno efficaci soltanto per dieci anni, non per quindici come dice Obama. Che le ispezioni
Un possibile trionfo L’Occidente dovrà vincere la scommessa sull’onestà della Repubblica islamica
dell’Aiea nei siti militari avranno bisogno di 24 giorni di preavviso. Che sarà praticamente impossibile reintrodurre le sanzioni in caso di violazioni iraniane dopo averle revocate. Le argomentazioni israeliane, queste e altre, sono simili a quelle che Obama dovrà affrontare e battere nel Congresso di Washington. Ma Israele si gioca qualcosa di più rispetto ai deputati e ai senatori Usa: si gioca la sua sicurezza. Ed è per questo che Obama, oltre a mantenere nel tempo di presidenza che gli resta una rigorosa verifica del rispetto degli accordi da parte iraniana, deve tentare di recuperare il rapporto con Gerusalemme fornendo nuove e non impossibili garanzie di copertura strategica. Altrimenti, presto o tardi, l’ipotesi dell’uso della forza preventiva contro l’Iran riprenderà quota.
Resistenze ai patti conclusi ci saranno di sicuro anche in Iran, dove settori ultranazionalisti e conservatori hanno ripetutamente tentato di ostacolare il presidente trattativista Rouhani. E dove il leader supremo Khamenei continuerà a non sbilanciarsi. Ma anche l’Iran ha un potenziale formidabile per giungere a tempi nuovi: la sua giovane società, forse non tutta democratica ma tutta desiderosa di cambiare, di mettere fine all’isolamento e alle penurie. In fondo quella di Vienna è una grande scommessa che riguarda prodi prio l’Iran. La sua onestà negoziale e post negoziale, beninteso. Ma ancor di più l’Iran proiettato nel futuro, l’Iran tra dieci anni, il suo potere meno opaco, la sua società più libera.
Se l’Occidente vincerà questa scommessa, sarà davvero un trionfo. Ma i ragionevoli devono per ora accontentarsi di sapere che senza accordo Teheran avrebbe potuto procedere verso il nucleare senza alcun controllo, e innescare così una proliferazione atomica regionale dalle imprevedibili conseguenze in quello che è il terreno di coltura dell’Isis e di altre organizzazioni terroristiche. È già molto, quel che è stato fatto ieri a Vienna. Ma come sanno bene i negoziatori gli accordi, dopo le firme e le feste, vanno costruiti giorno per giorno.