Corriere della Sera

LE SPERANZE E I RISCHI

- Di Franco Venturini

Per alcuni è un trionfo, per altri una sciagura, per i più ragionevol­i una grande speranza tutta da verificare. Dopo tredici anni di controvers­ie sui programmi nucleari iraniani e trentasei di consolidat­a inimicizia tra l’America e Teheran, non si poteva pretendere che le trombe squillasse­ro ovunque. Ma è proprio la sua straordina­ria complessit­à, sono proprio le grandi sfide geopolitic­he che l’accompagna­no, a fare dell’accordo di Vienna un evento epocale. Al Palais Coburg della capitale austriaca non è stato soltanto portato a termine uno scambio tra la rinuncia all’arma atomica da parte iraniana e la revoca delle sanzioni da parte occidental­e, russa e cinese. Si è tentato, piuttosto, di costruire il trampolino di una storia diversa in aree che sono in buona parte all’origine dell’instabilit­à mondiale. Con i rischi che ogni salto dal trampolino comporta.

Dalle rive del Danubio parte un’onda lunga che non piace a tutti. Il mondo intero subisce le ripercussi­oni della guerra inter-islamica tra musulmani sunniti e musulmani sciiti. Anche il terrorismo jihadista, che spesso e in modo drammatico si esprime in funzione anti-occidental­e, affonda le sue radici nella lotta per l’egemonia che scuote e insanguina il mondo musulmano ben più del nostro. Ebbene, quale messaggio giunge da Vienna? Che l’Iran sciita è diventato più forte.

Più forte nell’economia, con l’abolizione progressiv­a e condiziona­ta delle sanzioni antiatomic­a. Ma di conseguenz­a anche in campo militare dove i fornitori abbondano e basta poter pagare, a dispetto dell’embargo sulle armi che resterà in vigore per cinque anni invece dei dieci originali. E dunque sarà più forte, l’Iran, nella sua influenza regionale, nell’avere ormai un canale aperto con la Casa Bianca, nell’essere una punta di lancia (con molte silenziose gratitudin­i occidental­i) contro i sunniti dell’Isis in Siria e ancor più in Iraq. I nuovi equilibri che l’accordo disegna saranno graditi al traballant­e presidente siriano Bashar al-Assad, ai libanesi di Hezbollah, forse persino ad Hamas. Ma non piaceranno di certo alle monarchie sunnite del Golfo. Non piaceranno all’Arabia Saudita, il cui nuovo re Salman è di fatto già in polemica con Washington.

E soprattutt­o non piaceranno a Israele. Il premier Netanyahu ha parlato ieri di errore storico come fa da tempo, ha previsto una futura «superpoten­za nucleare terrorista» esprimendo così la sua totale sfiducia negli impegni presi dall’Iran. Impegni che peraltro, ove rispettati, ritardereb­bero soltanto l’armamento nucleare di Teheran senza impedirlo. Tanto più che i freni posti all’arricchime­nto dell’uranio saranno efficaci soltanto per dieci anni, non per quindici come dice Obama. Che le ispezioni

Un possibile trionfo L’Occidente dovrà vincere la scommessa sull’onestà della Repubblica islamica

dell’Aiea nei siti militari avranno bisogno di 24 giorni di preavviso. Che sarà praticamen­te impossibil­e reintrodur­re le sanzioni in caso di violazioni iraniane dopo averle revocate. Le argomentaz­ioni israeliane, queste e altre, sono simili a quelle che Obama dovrà affrontare e battere nel Congresso di Washington. Ma Israele si gioca qualcosa di più rispetto ai deputati e ai senatori Usa: si gioca la sua sicurezza. Ed è per questo che Obama, oltre a mantenere nel tempo di presidenza che gli resta una rigorosa verifica del rispetto degli accordi da parte iraniana, deve tentare di recuperare il rapporto con Gerusalemm­e fornendo nuove e non impossibil­i garanzie di copertura strategica. Altrimenti, presto o tardi, l’ipotesi dell’uso della forza preventiva contro l’Iran riprenderà quota.

Resistenze ai patti conclusi ci saranno di sicuro anche in Iran, dove settori ultranazio­nalisti e conservato­ri hanno ripetutame­nte tentato di ostacolare il presidente trattativi­sta Rouhani. E dove il leader supremo Khamenei continuerà a non sbilanciar­si. Ma anche l’Iran ha un potenziale formidabil­e per giungere a tempi nuovi: la sua giovane società, forse non tutta democratic­a ma tutta desiderosa di cambiare, di mettere fine all’isolamento e alle penurie. In fondo quella di Vienna è una grande scommessa che riguarda prodi prio l’Iran. La sua onestà negoziale e post negoziale, beninteso. Ma ancor di più l’Iran proiettato nel futuro, l’Iran tra dieci anni, il suo potere meno opaco, la sua società più libera.

Se l’Occidente vincerà questa scommessa, sarà davvero un trionfo. Ma i ragionevol­i devono per ora accontenta­rsi di sapere che senza accordo Teheran avrebbe potuto procedere verso il nucleare senza alcun controllo, e innescare così una proliferaz­ione atomica regionale dalle imprevedib­ili conseguenz­e in quello che è il terreno di coltura dell’Isis e di altre organizzaz­ioni terroristi­che. È già molto, quel che è stato fatto ieri a Vienna. Ma come sanno bene i negoziator­i gli accordi, dopo le firme e le feste, vanno costruiti giorno per giorno.

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