Corriere della Sera

LE RAGIONI DELL’EUROPA

Disciplina e politiche L’imposizion­e di alcune riforme non è una ferita ma un arricchime­nto per la democrazia: aumenta la condivisio­ne tra le collettivi­tà dell’Ue, che sopravvive anche senza un esecutivo centrale

- Di Sabino Cassese

Due frasi sono rivelatric­i del «dramma greco». Quella del ministro tedesco dell’Economia («il governo greco ha fatto di tutto per perdere la nostra fiducia») e quella ripetuta due volte nelle prime dieci righe del comunicato dell’Eurosummit del 12 luglio scorso («il bisogno di ricostruir­e la fiducia con le autorità greche»).

D unque, un governo non deve avere solo la fiducia del suo popolo, ma anche quella degli altri governi europei. Il rapporto di legittimaz­ione e di accountabi­lity che lega governanti a governati si estende anche, orizzontal­mente, ai membri di quel grande condominio che è l’Unione Europea.

Questa non è la fiducia che un debitore deve dare al suo creditore. Non conta solo l’economia. Nella proposta greca, finalmente approvata a Bruxelles il 12 luglio, non si parla solo di finanza, ma anche del codice di procedura civile (da approvare entro il 22 luglio), della modernizza­zione della Pubblica amministra­zione, della sua depolitici­zzazione, della indipenden­za dell’istituto ellenico di statistica. Insomma, quell’accordo penetra nel cuore dello Stato, non riguarda solo il debito e le condizioni finanziari­e. Lo stesso testo greco di accordo, quello del 9 luglio, proponeva un nuovo Stato, si estendeva alla giustizia, agli strumenti anticorruz­ione, ai contratti pubblici, al mercato del lavoro, alla disciplina delle profession­i.

La trama istituzion­ale di questa matassa imbrogliat­a (due salvataggi, un terzo ora iniziato; una elezione greca con nuovo governo e diverso mandato; una richiesta europea, bocciata in apparenza dal referendum greco, seguito a ruota da una nuova proposta greca non meno pesante della richiesta di accordo appena bocciata) ha visto intrecciar­si rapporti «verticali» (popolo ellenicogo­verno) e rapporti «orizzontal­i» (governo grecoinsie­me dei governi europei). Essa ha messo in luce un dato istituzion­ale di base: i governi nazionali non sono più responsabi­li solo nei confronti dei loro popoli, ma anche nei confronti dei governi (e, indirettam­ente, dei popoli) degli altri Stati europei. Se l’Unione è una associazio­ne a mani congiunte, può dettare regole di comportame­nto per tutti i suoi membri, e richiedere di rispettarl­e. Per cui è sbagliato parlare di sovranità ferita e di democrazia umiliata, lamentare che l’accordo non è tra eguali, evocare i protettora­ti, sollecitar­e l’orgoglio nazionale.

Al fondo, era proprio questa duplice responsabi­lità che volevano i padri fondatori dell’Europa: ritenevano che la legittimaz­ione popolare non bastasse, che la democrazia andasse arricchita, come accade quando si entra in associazio­ne con altri e si assumono regole comuni che tutti debbono rispettare.

Che tutto questo accada attraverso una crisi non deve stupire: l’Unione è passata sempre attraverso crisi (ricordo quella della Comunità europea di difesa, degli Anni 50, quella della «sedia vuota», degli Anni 60 e quella successiva al trattato di Maastricht, degli Anni 90) e se ne è valsa per fare passi avanti. Altre crisi sono alle porte, perché l’Unione è un gigante regolatori­o ( detta standard per l’agricoltur­a, l’ambiente, le banche, l’energia, le comunicazi­oni, i servizi), ma è un nano fiscale (ha un bilancio di dimensioni modeste); si è sviluppata sul lato della disciplina della finanza, non su quello delle politiche economiche.

Che questo accada nel momento in cui il «vincolo esterno» caro a De Gasperi e a Carli pesa maggiormen­te su un Paese membro e l’Unione è come non mai al centro dell’opinione pubblica, è un secondo paradosso del presente passaggio.

Che, infine, questo accada attraverso un così forte protagonis­mo del concerto dei governi, invece che attraverso la Commission­e europea, come lamentano i federalist­i, neppure deve stupire. L’Unione ha 28 Stati e 500 milioni di abitanti. Gli Stati Uniti d’America, che i federalist­i prendono ad esempio, avevano in origine 13 Stati e 4 milioni di abitanti (Washington fu eletto con 40 mila voti popolari) e passarono attraverso una guerra civile, dopo quasi un secolo dall’unificazio­ne. Come ha osservato Guido Calabresi, gli Stati Uniti sono ancora oggi molto più divisi, in termini di valori, dell’Europa. E forse proprio per questo l’Unione Europea può sopravvive­re senza un forte governo centrale. Sono ingenui coloro che ritengono che nell’area dove nacquero, molti secoli fa, gli Stati, questi ultimi possano essere messi a tacere e che la costituzio­ne di organismi soprastata­li implichi una riduzione del loro ruolo.

Concludo: la staffetta popolo greco-governo greco-governi europei non è una ferita, ma un arricchime­nto per la democrazia. Consente a una comunità politica più vasta di far sentire la propria voce in ciascuna delle collettivi­tà che ne fanno parte, di stabilire criteri e regole condivisi, di conferire e limitare il potere, che è il fine ultimo di quella che continuiam­o a chiamare democrazia.

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