Corriere della Sera

Teheran le voci della speranza

«Ciao mondo», scrivono su Facebook. Poi vanno in piazza con le vuvuzelas. La Svolta vista da ragazzi, attrici, mercanti

- Viviana Mazza

Quand’è arrivata la notizia, molti erano già attaccati al computer o allo smartphone, collegati al mondo grazie ai software antifiltro. Uno dopo l’altro hanno gridato su Facebook: «Salam Donia! Salam Solh!». «Ciao mondo! Ciao pace!». La gioia non si è vista subito a Teheran: nella tarda mattinata solo qualche clacson suonava più insistente, forse per il traffico del Ramadan più che per esultare. Ma in serata la festa si è scatenata in piazza, tra danze, autoradio a tutto volume e vuvuzela. La polizia ha chiuso un occhio, e talvolta si è unita alla festa.

C’è un film per bambini di Manijeh Hekmat che è diventato un blockbuste­r l’anno scorso: La città dei topi 2.», L’originale era uscito trent’anni fa, durante la guerra, ma nel sequel i protagonis­ti sono cresciuti. «I topi non possono uscire dalla loro città per paura dei gatti, ma i bambini della nuova generazion­e escono e scoprono il mondo » , ci ha spiegato giorni fa Hekmat in un caffé gestito da sua figlia Pegah, giovane star del cinema che cinque anni fa è stata condannata a un anno e mezzo di carcere (è fuori su cauzione) e al divieto di lasciare l’Iran per aver prodotto un documentar­io per l’inglese BBC Farsi. «Noi vogliamo la pace, la nostra linea rossa è difenderci dagli attacchi degli altri Paesi, ma la nostra gente è civile e colta e crediamo che prima o poi tutti i muri crollerann­o».

Nelle danze di Teheran ci sono tante cose. C’è l’anelito a risolvere i problemi del Paese con la diplomazia anziché con la guerra. C’è un certo orgoglio per aver trattato con sei potenze internazio­nali e aver ottenuto un accordo vincente per tutti («win-win», in farsi «bordbord»). C’è il sollievo per la fine delle sanzioni. « Alle persone che conosco non importa niente dell’energia nucleare, se non a un mio amico manager del governo — spiega l’ingegnere Dawood Morady Garawand, 31 anni —. La gente è felice perché pensa che la pressione economica diminuirà». Festeggian­o ma non si illudono. «Hai visto il tasso di cambio dollaro-rial oggi? E’ sceso a favore del rial ma poi è tornato al tasso di ieri. Significa che la gente sa che l’accordo non cambierà le cose subito», continua Dawood prima di annunciare: «Sento i clacson in strada, vado!».

«Aspettiamo un anno e vediamo dice Taher, 35 anni, prudente negoziante d’oro del Gran Bazaar. «Con gli investimen­ti stranieri il mercato potrebbe aprirsi. Sotto le sanzioni il gap tra ricchi e poveri è aumentato.

I più penalizzat­i sono i produttori, mentre altri si sono arricchiti importando dalla Cina». Anche Ehsan Lajevardi, proprietar­io di Magic Carpet, spera nella fine delle sanzioni: a causa dell’inflazione, i suoi tappeti hanno perso ogni magia: « Vendite crollate dell’80%».

L’isolamento non è stato doloroso per tutti. I Guardiani della Rivoluzion­e hanno trasformat­o le sanzioni in opportunit­à: l’esercito fondato da Khomeini nel 1979 è diventato nell’ultimo decennio una potenza economica con imprese attive dalle costruzion­i alle importazio­ni, dall’energia alle telecomuni­cazioni e un giro d’affari stimato dalla Reuters sui 10-12 miliardi di dollari l’anno. Con l’uscita di scena degli europei hanno conquistat­o anche petrolio e gas. La rimozione delle sanzioni non necessaria­mente li danneggerà. «Ma almeno potranno stare meglio tutti, non solo i pasdaran», dice un giornalist­a che chiede di restare anonimo.

Il futuro comunque non dipende solo dai rapporti esterni ma anche dagli equilibri interni. La celebre attrice Fatemeh Motamed-Arya prima di andare in scena in un dramma sulla guerra intitolato Tunnel elogia il fatto che i giornali riformisti stiano svelando le ruberie dei politici corrotti degli anni passati. «E stanno finendo in manette uno ad uno, in nome della legge».

Grazie all’accordo nucleare il direttore del giornale Shargh Mehdi Rahmanyan prevede che alle elezioni parlamenta­ri di febbraio vincano «figure più moderate». Chissà se anche il giornalist­a del Washington Post Jason Rezaian potrà seguirle: è sotto processo per spionaggio. «Avrebbe voluto raccontare i negoziati sul nucleare», dice la madre.

Noi vogliamo la pace, la nostra linea rossa è difenderci dagli attacchi degli altri Paesi, ma la nostra gente è civile e colta e crediamo che prima o poi tutti i muri crollerann­o

Hekmat padre di una giovane attrice

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La festa nelle strade Alla notizia dell’accordo raggiunto a Vienna, la gente è scesa nelle strade nelle città iraniane come Teheran. Auto con i clacson a tutto volume, bandiere, selfie e segni di vittoria, con la polizia che ha chiuso un occhio e a...
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