Corriere della Sera

Come cambiano i nuovi equilibri Opec

Il Paese può produrre 3,6 milioni di barili. I rapporti con l’Arabia Saudita

- di Stefano Agnoli

Che cosa accadrà con il ritorno dell’Iran a pieno titolo sulla scena petrolifer­a? Non tutti gli effetti sono prevedibil­i e qualcuno potrebbe non essere del tutto positivo, anche se la prima conseguenz­a sarà quella di accentuare la pressione al ribasso sui prezzi del barile, apprezzata in particolar­e dai Paesi consumator­i e dall’Occidente. La prima incertezza riguarda i tempi, e la capacità della Repubblica islamica di ritornare ai livelli di produzione pre-sanzioni (circa 4 milioni di barili al giorno).

L’abbandono di queste ultime (e in particolar­e di quelle finanziari­e) potrebbe essere una procedura complicata, destinata a non esaurirsi presto visto l’intrecciar­si di legislazio­ne federale e statale Usa, e di quella europea. Dal 2011, poi, i campi petrolifer­i iraniani non hanno più potuto contare sull’assistenza tecnologic­a delle grandi compagnie petrolifer­e, e riprendere a pieno ritmo potrebbe essere più difficile del previsto. La stima, comunque, è che Teheran possa far sentire il suo peso effettivo dall’ultimo trimestre dell’anno, e che nel 2016 possa riportare la sua produzione di petrolio intorno a 3,6 milioni di barili al giorno dai 2,8 milioni attuali (senza tenere conto dei condensati e di altri liquidi). Non moltissimo, ma anche se i livelli dei tempi dello Scià resteranno a lungo inavvicina­bili (6 milioni di barili al giorno), comunque sufficient­i per innescare una guerra di prezzi e quote con i concorrent­i dell’Opec.

L’Iran, insomma, cercherà di riprenders­i le quote di mercato che in questi ultimi anni le sono state sottratte dall’Arabia Saudita e dai suoi alleati del Golfo, persino dalla Russia, che l’hanno sostituito nei rapporti commercial­i con Cina, India, Giappone e Corea del Sud. Le storiche tensioni con Riyadh, rivale politico regionale e all’interno del cartello dei produttori, sono quindi destinate ad acuirsi, anche se nell’immediato il principale obiettivo della leadership iraniana sarà quello di rimpinguar­e le casse dello Stato: i proventi da petrolio e gas erano di 118 miliardi di dollari nel 2011 e nel 2014 erano crollati a 56 miliardi. Paradossal­mente, però, in uno scenario di prezzi bassi Arabia Saudita e Iran potrebbero anche trovare una convergenz­a di interessi: mettere ulteriorme­nte nei guai i produttori di petrolio e gas «non convenzion­ale» ( shale) degli Stati Uniti, che sebbene si stiano mostrando un osso duro anche a 60 dollari al barile potrebbero soffrire e uscire dal mercato. Va da sé che per riuscire in queste operazioni la Repubblica islamica dovrà assicurars­i l’appoggio delle grandi compagnie occidental­i, e soprattutt­o della loro tecnologia. In molte si sono fatte ricevere dal ministro del petrolio Bijan Namdar Zanganeh negli ultimi tempi: Shell, Eni, Total ad esempio. Ma per potersi assicurare la loro opera sarà però necessario cambiare i termini contrattua­li «nazionalis­tici» che impediscon­o a stranieri di essere proprietar­i di risorse del sottosuolo iraniano. La discussion­e è in corso, si vedrà. Un altro interessan­te aspetto del rientro a tutto tondo dell’Iran nella partita petrolifer­a è quello del gas. Tehran, numero quattro al mondo per riserve di greggio è anche il numero due per riserve di gas naturale, dopo la Russia e prima di Qatar e Stati Uniti. Una ricchezza assai poco sviluppata, che potrebbe far gola all’Europa che da tempo si è appassiona­ta al progetto di un «corridoio sud» da cui far transitare gas alternativ­o a quello russo. Poterlo nutrire con gas iraniano sarebbe perfetto. Ma Tehran, non va scordato, fa pur sempre parte con Mosca e altri nove Paesi del «Gas exporting countries forum», la tanto temuta e mai realmente operante «Opec del gas » . Insomma, si aprono molti scenari e le sorprese potrebbero non mancare.

@stefanoagn­oli

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