L’idea (sofferta) di sovranità nazionale imbrigliata tra Nato, troika e mercati
spesa pubblica e contenimento dei salari. Mario Talamona, l’economista ed editorialista del Corriere scomparso nel 2006, nel ’93 scrisse un articolo proprio per riepilogare le tante volte che l’Italia era andata «con il cappello in mano» a chiedere aiuto, da Cavour ai finanziamenti post-bellici fino all’oro dato in pegno da Rumor. Tutti episodi che possiamo collocare però in un’epoca pre- trojka (l’organismo di gestione delle crisi composto da Ue, Bce e Fmi) ovvero quando la cessione di sovranità era legata alle contropartite o garanzie necessarie per accedere a un finanziamento straordinario. Invece con il sistema della trojka entrato in funzione dal 2010 e applicato a Irlanda, Portogallo e Cipro (e alla Spagna limitatamente al settore bancario) è chiaro che entriamo in un altro girone: il commissariamento è obbligato e non volontario e i Troika Boys si affiancano al governo del Paese in crisi al punto che, come sottolinea Mario Monti, «la mano dei ministri e dei parlamentari è di fatto tele-guidata».
Insomma se l’avvento della troika è la patologia dell’integrazione sovranazionale la cessione di sovranità ne è la fisiologia. A patto che sia volontaria e simmetrica. Usciamo dal campo strettamente economico e prendiamo un’altra organizzazione-chiave, la Nato. I Paesi che ne fanno parte (tra cui dal 1952 anche la Grecia) si sono impegnati a mettere in comune i dispositivi di sicurezza, ne pagano i costi di funzionamento in ragione del proprio Pil e hanno tutta una serie di garanzie che vanno dal consenso unanime sulle decisioni alla possibilità di usare il veto. Nata nel ’49 per arginare il pericolo comunista proprio in virtù della sua governance ha conosciuto il primo impiego militare in Kosovo nel ’99. Anche se non c’è scritto da nessuna parte solo un ipocrita patentato potrebbe sostenere che gli Usa sono un membro come gli altri, un po’ come mutatis mutandis la Germania lo è nella Ue di oggi.
Per tornare al dibattito politico italiano, anche se di qualche lustro fa, non si può dimenticare come la cessione di sovranità sia stata invocata da quelle forze laico-riformiste che non riuscivano a fare avanzare le loro idee di modernizzazione e spesso soccombevano di fronte ai corporativismi. Stiamo par- lando del cosiddetto «vincolo esterno» richiesto a gran voce dagli europeisti più convinti che sostenevano la necessità di «vincolare» le scelte di politica nazionale non solo a standard e parametri comunitari ma anche a precisi impegni assunti in una sede sovranazionale. Infine con l’avanzare dei processi di globalizzazione e l’interdipendenza delle economie è subentrato un altro tipo di cessione di sovranità che potremmo definire implicita, quella che lega le economie nazionali all’azione dei mercati finanziari. Mettiamo pure che il pensiero sovranista riuscisse ad imporre l’abbandono dell’euro e il ritorno alle monete nazionali viene da chiedersi chi deciderebbe il corso delle nuove valute. I singoli governi o Parlamenti nazionali o molto più probabilmente l’interazione (eufemismo) con i mercati? Roma o Atene potrebbero decidere la quantità di moneta che le rispettive banche centrali potrebbero stampare ma avrebbero una flebile voce in capitolo nello stabilire tassi di interesse e tasso di cambio.