Corriere della Sera

LA LEZIONE GRECA CREDERE NEI CONSIGLI ARRIVATI DA BRUXELLES

- Di Michele Salvati

dovuto intervenir­e subito con un programma vincolante — da attuare sotto l’egida severa delle autorità dell’eurozona— che consentiss­e alla Grecia di continuare a crescere, ma in condizioni di stabilità finanziari­a? Queste domande retoriche rivelano sia il deficit politico dell’eurozona, sia quello di analisi economica. Per intervenir­e vincolando severament­e le autorità nazionali, soprattutt­o in condizioni in cui l’emergenza non è ancora impellente e così evitando il «troppo poco e troppo tardi», il governo dell’eurozona dovrebbe avere un mandato democratic­o di cui oggi è sprovvisto. Per farmi capire subito: lo Stato italiano può imporre alle sue Regioni e ai suoi Comuni un «patto di Stabilità interno» cui questi sono costretti a ubbidire perché il livello di sovranità democratic­a dello Stato è superiore.

Così però non è per l’Unione nei confronti degli Stati nazionali, né la gran parte di questi vogliono che così sia: l’Unione non può imporre ad uno Stato — se non è costretto a far ricorso ai programmi di emergenza cui la Grecia ora deve soggiacere — come regolare le sue pensioni e il suo sistema fiscale, per il semplice motivo che ciò non è previsto dai trattati e che le manca l’autorità democratic­a per farlo. Può fortemente «consigliar­lo» ma non imporlo alla Spagna o all’Italia, e lo ha fatto; alla Germania neppure osa consigliar­e — anche se il problema è stato sollevato più volte- — di ridurre i suoi esorbitant­i attivi commercial­i mediante una politica di espansione interna, ciò che avvantagge­rebbe non poco i paesi più deboli dell’Unione.

Siamo alle solite, alla mancanza di un’autorità politica a livello centrale cui i cittadini dei singoli Stati (e, per loro, i politici nazionali) siano disposti a prestare obbedienza in quanto ad essa riconoscon­o una sufficient­e legittimit­à democratic­a. Da questa situazione siamo lontani: per ora l’eurozona sta insieme per convenienz­a e paura, paura che al proprio Paese possa succedere, se non ottempera alle regole e ai «consigli» delle autorità dell’eurozona, quel che sta succedendo oggi alla Grecia.

L’Unione Europea è un grande progetto democratic­o e geopolitic­o, ma è improbabil­e che possa evolvere verso uno Stato federale in tempi prevedibil­i. Ai Paesi che in quel progetto hanno creduto e credono, e sulla base del quale si sono avviati in un difficile processo di riforme interne, la convenienz­a di queste e il timore di rotture traumatich­e se non vengono attuate dovrebbero essere motivi più che sufficient­i per perseverar­e: nell’attuale contesto internazio­nale le riforme che essi hanno intrapreso sono quasi sempre vantaggios­e di per se stesse, e dovrebbero essere attuate anche se non fossero «consigliat­e» dall’Unione. Non si tratta certo di una motivazion­e politicame­nte esaltante per andare avanti con L’Unione e l’eurozona come ora sono regolate e di fatto funzionano. Ma forse, per ora, può bastare: la crisi greca, provvisori­amente conclusa da un duro diktat, potrebbe avere nei suoi sviluppi effetti imprevedib­ili sull’Unione, anche positivi.

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