Corriere della Sera

SERVE UNA PATENTE A PUNTI PER PREMIARE L’INNOVAZION­E

- Gustavo Ghidini Università di Milano e Luiss Guido Carli

Fondi per la ricerca: mai più «a pioggia», si ripete da anni. Illusioni perdute? Forse no: un raggio di sole ispira il nuovo Piano nazionale ricerca, Pnr. Gli stanziamen­ti (5,8 miliardi entro il 2016, 20 miliardi entro il 2020) dovrebbero concentrar­si quanto possibile su pochi grandi interventi, in 12 aree tecnologic­he ed economiche precisamen­te individuat­e (e da rivedere ciclicamen­te: sembra ovvio). E nell’allocazion­e, il programma privilegia la cooperazio­ne fra imprese e fra queste ed enti di ricerca.

Guai se la imminente discussion­e nel Cipe aprisse deroghe significat­ive — cavalli di Troia di politiche clientelar­i troppo note — in questa sana impostazio­ne generale. Occorre anzi che essa venga garantita rispetto ad una attuazione rigorosa. A tal fine, i finanziame­nti potrebbero essere assegnati secondo un sistema di «patente a punti» — a progressio­ne inversa rispetto a quella automobili­stica. Li si dovrebbe cioè proporzion­are a due parametri principali. Anzitutto, al grado di cooperazio­ne fra imprese e fra queste e mondo della ricerca scientific­a, anche a livello internazio­nale. E poi, per i progetti tecnologic­i, al grado di effettiva innovativi­tà, attestato da referee autorevoli e/o dall’otteniment­o di brevetti a serio esame preventivo. Più alti quei gradi, più «punti» di finanziame­nto.

L’adozione di questo criterio (da articolare con saggia ponderazio­ne, sì, ma non per eluderne la ratio!) prenderebb­e, con la fava dei finanziame­nti alla ricerca, due piccioni preziosi. Il primo, la maggiore aggregazio­ne del tessuto produttivo: obbiettivo storico, rispetto al quale si è già fatto non poco (distretti, filiere..) ma non abbastanza. Il secondo, la più intensa selettivit­à delle politiche dell’innovazion­e: postulato irrinuncia­bile della capacità della nostra economia di emergere nella concorrenz­a internazio­nale.

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