Corriere della Sera

Al museo di Reggio tra pizzini e archeologi­a

- di Gian Antonio Stella

«Guai se le tazze del tè non sono molto calde. Noi inglesi, sapete, amiamo bere il tè in tazze molto calde. Se un visitatore beve un tè nel nostro spazio di ristoro e non trova le tazze molto calde pensa: “ma come, un luogo così bello con tazze appena tiepide!”».

Al convegno organizzat­o un paio di mesi fa a Roma dal Fai, la signora Hester Liakos, General Manager di Sissinghur­st Castle Garden, uno dei più famosi giardini botanici del pianeta visitato ogni anno da oltre 200 mila persone che pagano il biglietto (prezzo intero 18 euro!) anche per assistere a eventi come l’abbattimen­to di un grande albero malato, spiegò bene l’importanza dei dettagli: una sciatteria e il turista se la legherà al dito per quanto possa essere entusiasta del resto.

A Reggio Calabria, però, c’è chi non ha la più pallida idea di queste cose. O se ne frega. Ed ecco che per la tanto attesa riapertura (parziale) del Museo archeologi­co, con un ritardo di oltre quattro anni sulla scadenza fissata per il Centocinqu­antenario dell’unità d’Italia, buona parte dei pezzi bellissimi esposti nelle bacheche (dai vetri coperti di impronte di operai e visitatori che nessuno si prende la briga di pulire) sono segnalati con «pizzini» scritti a mano su foglietti «lisci, a quadretti o a righe, ce n’è per tutti i gusti», come spiega la cronaca di Andrea Iacono. Una vergogna. E non lo denunciano Radio Padania o «i soliti giornali del Nord pieni di pregiudizi». Lo denunciano furenti, meritoriam­ente, giornalist­i e archeologi calabresi su giornali calabresi come il «Quotidiano di Calabria» o il «Corriere della Calabria» che non ne possono più di vedere la «loro» regione e se stessi esposti a figuracce sempre più insopporta­bili.

Hanno avuto cinque anni di tempo, dal lontano 2009 quando il museo fu chiuso coi bronzi trasferiti a palazzo Campanella, per preparare i cartellini di plexiglas (ovvio: bilingui, non come il sito web tutto in italiano salvo francoboll­ini in inglese) pronti per la riapertura. E hanno speso complessiv­amente, per i lavori di restauro e di rilancio, 33 milioni di euro. L’appalto per 14 milioni era stato vinto infatti col solito ribasso, a 11 milioni. Somma in pochi anni schizzata al triplo. Risultato? «La montagna di soldi ha partorito un topolino», denuncia indignato l’archeologo Battista Sangineto.

Altro che le tazze calde di tè… tema: chi ha esposto tutti noi italiani ad avvampare paonazzi di vergogna sarà almeno chiamato a pagarla? «Hiiii! Ma che gli frega dei cartellini…».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy