Superare il clima ostile che circonda le imprese
Doveri reciproci Il legislatore deve fare la sua parte, per esempio sulle norme che regolano il consumo del suolo: rischiano di frenare lo sviluppo. Oggi le imprese hanno una giusta sensibilità sui temi ambientali
Carodirettore, è stretta l’interconnessione tra le esigenze dell’economia, le regole che la governano e le modalità di azione della giustizia. Il perno su cui far leva per ricomporre l’equilibrio tra giustizia ed economia è bilanciare gli interessi. La legge deve definire il perimetro d’azione in modo chiaro ed esigibile. La soluzione di problemi complessi evitando inutili contrapposizioni?
Migliorare la sensibilità economica dei giudici puntando su formazione e specializzazione. Bisogna poi restituire al diritto la sua matrice di fattore di competitività e non di ostacolo alla libera iniziativa.
E serve, come sempre, farsi guidare dall’equilibrio. Infatti, se è vero che le norme quasi mai sono neutre nei confronti dei destinatari, è anche vero che non possono essere (ab)usate per riequilibrare una presunta forza malevola del mercato.
Caro direttore, ho seguito con attenzione le riflessioni di questi giorni pubblicate dal «Corriere della Sera» e dedicate al rapporto tra giustizia ed economia. È evidente che prima l’Ilva, poi molteplici casi in sede locale e da ultimo la vicenda Fincantieri hanno evidenziato il rischio di una progressiva difficoltà di relazione tra due mondi che invece vorremmo in sintonia. La ricerca delle cause non è un esercizio che mi affascina, anche se una potrebbe essere la pessima abitudine, tutta italiana, di inasprire con oneri e limiti la normativa europea, rendendo più complesso il quadro delle regole, incerta la loro interpretazione e, quindi, minore la nostra capacità competitiva. Ma vi è sicuramente anche dell’altro. Un’analisi equilibrata, infatti, deve indurre a riconoscere la stretta interconnessione che c’è tra le esigenze dell’economia, le regole che la governano e le modalità di azione della giustizia. Con questo non voglio affatto dire che alcuni diritti debbano segnare il passo rispetto ad altri. Ma è un dato di fatto che i diritti e la loro applicazione evolvono in conseguenza del contesto esterno. E le dinamiche dell’economia sono tra i fattori più significativi di cambiamento di quel contesto. Perciò credo che l’impermeabilità alle istanze dello sviluppo non possa rappresentare un valore in sé, pena il rischio che alcuni interventi giudiziari appaiano come un ostacolo all’attività d’impresa o l’espressione di un pregiudizio nei confronti dell’imprenditore. Dobbiamo lavorare, insieme, per far sì che questo messaggio non si depositi nell’immaginario collettivo. Per farlo credo sia necessario condividere alcuni presupposti di fondo.
Il primo è la necessità di bilanciare gli interessi, nelle scelte legislative anzitutto ma anche nelle decisioni giudiziarie quando possibile, riconoscendo la giusta considerazione alle esigenze della libera iniziativa economica. Credo sia questo il perno su cui far leva per ricomporre l’equilibrio tra giustizia ed economia. Bene ha fatto perciò Giovanni Legnini a richiamare l’insegnamento della Corte Costituzionale in occasione del primo decreto Ilva, vicenda che la cronaca di questi giorni ha riportato di nuovo alla ribalta.
Inoltre, riconosco che in passato non tutta l’industria ha avuto la giusta sensibilità sui temi ambientali, ma con la stessa franchezza vorrei fosse chiaro che l’immagine che si tenta di diffondere di un’industria «refrattaria» alle regole ambientali è falsa e assolutamente lontana dalla realtà del nostro sistema produttivo. Le imprese che hanno investito e continuano a investire per garantire che le proprie produzioni rispettino l’ambiente sono di gran lunga la maggioranza. Ci aspettiamo altrettanta attenzione dal legislatore nel momento in cui è all’esame delle Camere un provvedimento, il disegno di legge sul consumo del suolo, che al momento rischia di rappresentare un vero freno allo sviluppo.
Per ultimo, dobbiamo uscire dall’equivoco che possa esistere un’industria «a rischio zero». Come tutte le attività dell’uomo anche quella d’impresa può generare rischi. Ogni attore ha una precisa responsabilità. La legge deve definire il pedi rimetro d’azione in modo chiaro ed esigibile. Gli imprenditori devono adottare processi in grado di minimizzare al massimo gli impatti. La magistratura deve vigilare e intervenire per assicurare il pieno rispetto delle regole, attraverso decisioni che siano proporzionate ai rischi e graduate in funzione delle effettive esigenze di tutela dei diritti.
Se condividiamo questi presupposti, occorre immaginare le soluzioni tenendo conto che problemi così complessi suggeriscono di evitare inutili contrapposizioni.
Una via è senz’altro migliorare la sensibilità economica dei giudici. Nel merito, sono d’accordo con il ministro Orlando quando sostiene la necessità di puntare su formazione e specializzazione. Come imprenditori, siamo disponibili al confronto su tutti gli aspetti conoscitivi necessari per chi amministra la giustizia. La specializzazione è d’obbligo. Per realizzarla serve il coraggio di rompere alcuni consolidati tabù, che riguardano la nostra cultura giuridica e anche la territorialità dell’organizzazione giudiziaria. Giudici specializzati sono una delle condizioni per rafforzare l’uniformità della giurisprudenza, assicurare la prevedibilità delle decisioni e renderne più agevole la misurazione dell’impatto, anche sull’economia. Attività, questa, da cui il giudice non può prescindere e nella quale devono essere valorizzate quelle esigenze di proporzionalità che ho richiamato sopra.
Bisogna poi restituire al diritto la sua matrice di fattore di competitività e non di ostacolo alla libera iniziativa. Nella velocità della società contemporanea, anche la certezza delle regole deve avere lo stesso passo: non può costituire un freno, né un costo per imprese che vivono sistemi di concorrenza sempre più esasperata. Dobbiamo allora uscire dall’equivoco che la norma è la soluzione a tutti i problemi del reale e ricostruire una macchina amministrativa efficiente, che vale almeno quanto una nuova riforma.
E serve, come sempre, farsi guidare dall’equilibrio. Infatti, se è vero che le norme quasi mai sono neutre nei confronti dei destinatari, è anche vero che non possono essere (ab)usate per riequilibrare una presunta forza malevola del mercato.
È una partita decisiva, che Confindustria segue con la massima attenzione per dare il suo contributo alla costruzione di quei «ponti» che servirebbero per far dialogare di più e meglio giustizia ed economia.