Corriere della Sera

Lo choc, il pianto e le accuse: questo è il massacro di un uomo

- Di Felice Cavallaro

Dopo cento telefonate a vuoto e dopo la clamorosa smentita della Procura (con controrepl­ica dell’Espresso) sulla agghiaccia­nte frase attribuita al suo medico personale Matteo Tutino, Rosario Crocetta finalmente risponde ed esplode in un pianto senza fine, accorato, inarrestab­ile, con qualche parola che emerge dai singhiozzi: «Questo è il massacro di un uomo...».

Dalla voce il governator­e della Sicilia, alle sette della sera già «autosospes­o» (ma, si dirà poi, l’atto non è stato formalizza­to), sembra il Cristo del Venerdì Santo, ma se risponde è proprio perché improvvisa­mente qualche sito Internet in uno dei suoi rifugi fra Gela e Tusa ha squarciato l’orrore di quella telefonata in cui Matteo Tutino, secondo la ricostruzi­one oggetto del giallo, avrebbe addirittur­a suggerito di «far fuori» Lucia Borsellino.

«L’ho detto subito di non avere mai sentito pronunciar­e quella frase su Lucia», spiega il presidente adesso deciso a riflettere per un giorno prima di decidere se confermare l’autosospen­sione e passare davvero la guida al vicepresid­ente di fresca nomina Baldo Gucciardi.

«Non sapevo come replicare a una enorme assurdità come questa volgare frase. E allora, davanti alle certezze di tanti, di troppi, tutti pronti a prendere per oro colato una falsità, ecco che ho pensato forse di non avere sentito per colpa di una zona d’ombra. Chissà, forse Tutino parlava al telefono e io non sentivo. D’altronde, anche secondo quelle infondate indiscrezi­oni, io nella telefonata non replicavo. E mi accusavano del silenzio. Ma se io avessi captato una cosa del genere sarei andato a cercare Tutino per prenderlo a mazzate. Adesso che la Procura smentisce, io non so più cosa dire, perché in sei ore mi hanno distrutto trasforman­domi in un mostro».

Pesa il primo commento di Lucia Borsellino, avvilita davanti alle informazio­ni dell’Espresso: «Non posso che sentirmi intimament­e offesa e provare un senso di vergogna per loro, per chi ha detto quelle frasi».

Crocetta comincia così a ragionare sulle «strumental­izzazioni» e le collega a tante, a suo avviso, susseguite­si negli ultimi mesi: «Sono vittima di un gioco volgare che mi sporca, mi offende, mi distrugge. Un dossieragg­io. Io non ne posso più. Di che cosa mi ritengono colpevole? Di volere cacciare via il malaffare da questa Regione per decenni nelle mani dei suoi aguzzini?».

Ma è anche vero che il suo governo sta da tempo pericolosa­mente in bilico sul crinale di una Sicilia con 8 miliardi di debito e che per inefficace antidoto ha scelto di cambiare un assessore al mese, 37 in meno di tre anni. Anche liquidando un magistrato come Nicolò Marino, assessore fuoriuscit­o perché in contrasto con il Ghota di Confindust­ria Sicilia e con Beppe Lumia, l’ex presidente dell’antimafia rimasto gran manovrator­e della squadra di governo.

Le mazzate Se avessi captato una cosa del genere sarei andato da Tutino a prenderlo a mazzate. Ora che i pm smentiscon­o non so più cosa dire I dossieragg­i In sei ore mi hanno distrutto trasforman­domi in mostro. Sono vittima di dossieragg­i, di un gioco volgare che mi offende La zona d’ombra Davanti alle certezze di tanti, di troppi, ecco che ho pensato forse di non aver sentito per colpa di una zona d’ombra

Non a caso Marino resta un pungiglion­e al fianco del governator­e: «Crocetta ha ceduto ai poteri forti. Anche la sua antimafia è ormai una finzione».

Tema che riporta ad un altro ex magistrato di primo piano rimasto invece in forte sintonia con il presidente della Regione, Antonio Ingroia, passato dalla Procura di Palermo addirittur­a alla candidatur­a a premier, ma approdato nel sottogover­no di Crocetta come amministra­tore della società che segue l’informatiz­zazione, «Sicilia E-Servizi».

Lo sa che sono continui gli attacchi contro Lumia, Ingroia e altri pochi suoi fedelissim­i come l’ex commissari­o di polizia di Gela, Antonio Malafarina. Ma non demorde. Come nei primi tempi, quando si cercava uno scheletro nell’armadio e lui rintuzzava: «A qualcuno piacerebbe molto. Ma siamo alla fiction. Mi si rimprovera di avere avuto per amico di infanzia un boss che a Gela abitava vicino a casa mia. Come ho detto ai magistrati di Caltanisse­tta presentand­o le querele, basta leggere una lettera inviata anni fa da quel soggetto alla scrittrice Silvana Grasso, lettera in cui si lamenta che dopo quel tempo, fatte scelte diverse, non ci siamo più nemmeno salutati. Insomma, c’è pure la prova documental­e».

Adesso la prova documental­e ha temuto che fosse arrivata davvero. Con l’Espresso. Poi smentito dalla procura di Franco Lo Voi e dell’aggiunto Leonardo Agueci. Ma la partita non è chiusa. Resta anche il nodo di una Sicilia dilaniata, la stessa dei viadotti che crollano o della malasanità che uccide, anche se il governator­e sembra già pronto al contrattac­co: «L’ho trovata svuotata, avvilita, offesa, dilapidata e adesso qualcuno vorrebbe attribuire la colpa a me che sto disperatam­ente cercando di rimetterla in sesto».

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