«Che solitudine in terraferma Il mio eroe sceglie il mare»
Emma Dante: il senso della salvezza per me è al largo
«Una dichiarazione d’amore, furiosa, solitaria e senza speranza, al mare», è per Emma Dante il suo spettacolo Acquasanta. E l’attore Carmine Maringola rende omaggio potente al tema-guida scelto dal direttore Franco Calabretto con Rita Maffei per questo Mittelfest: l’acqua in ogni forma, bene in pericolo, figura dell’immaginario, forza di vita, di morte. Un Paese straniero può essere l’agognata terraferma per chi ha navigato giorni e giorni nel terrore, ma questa prospettiva diventa rovesciata nella straordinaria forza inventiva e provocatoria della regista palermitana: in Acquasanta (dalla Trilogia degli occhiali, prodotto da Napoli, CRT, Parigi RondPoint) il protagonista, O’ Spicchiato, sogna il mare, ha vissuto sempre con lui da mozzo sulle navi, ed è stato invece abbandonato sulla terraferma, nemica, illusione di vita, morte sicura. «Per lui il mare è femmina, ne parla giorno e notte come fosse la sua donna — dice Emma Dante —. Aggrappato al palco-nave nella tempesta, ricorda i viaggi, le cose viste (“’o pesce palla ca dintra d’isso teneva futuro e passato”, ndr.), rifà le grida dei marinai e del capitano come un puparo, soprattutto la voce del mare, la saliva gli bagna le labbra come la schiuma delle onde. E alla fine, quando non sente più il respiro dell’elemento primordiale, si immobilizza come una polena». Un relitto.
Tradito dai compagni come il Filottete tragico, naufrago divenuto folle, invoca il mare con toni leopardiani e accorate canzoni d’amore napoletane. Ha cambiato dialetto, stavolta, Emma?
«Carmine, mio marito, è napoletano, ma in fondo le due lingue sono sorelle: nei suoni, nell’ironia... anche se un siciliano si prende in giro, un napoletano ti prende in giro»
Le parole che lei ha scritto per lui però sono magiche, divine nel loro senso. «O diaboliche, il che è più interessante, no?». Già, c’è l’Acquasanta e il Diavolo dov’è? «Il diavolo sta nel delirio di O’ Spicchiato, che porta gli occhiali che rispecchiano il sole; sta in questo suo combattimento, nella solitudine dell’abbandono da cui non si libererà mai. Tanto amore non basta, nessuno verrà a prenderlo».
I suoi personaggi sono concreti, carnali, anche blasfemi, e nello stesso tempo legati da vari fili alla mitologia.
«Si costruiscono la loro mitologia. Per il mio Festival all’Olimpico di Vicenza preparo uno studio di Odissea, che debutta prima al Biondo di Palermo dove invece ora sto provando Cappuccetto Rosso contro Cappuccetto Rosso, un’altra favola vista a modo mio: ci sono una bambina magra e una grassa, vince...».
Ci lasci indovinare: vince la grassa, e si mangia tutto. Sennò, che Emma Dante sarebbe. Perché sempre disperate le sue creature, sogni e monnezza, gesti teneri e violenti? «Perché la vita è così. Il dolore c’è sempre». Ma anche tanta poesia. Il suo teatro, con la compagnia Sud Costa Occidentale, è così perché è nato e si nutre della Sicilia?
«La poesia è farina del sacco della mia terra. Per questo, anche se in Francia mi amano tanto, non me ne vado, continuo a lavorare a Palermo».
La ragione delle radici «Nel mio teatro dolore e poesia, farina del sacco della mia terra. Così anche se mi amano tanto in Francia continuo a lavorare a Palermo»