Corriere della Sera

ADDIO BIANCHI LA F1 PIANGE IL SUO PILOTA

Il pilota è morto 9 mesi dopo l’incidente di Suzuka. Aveva 25 anni

- Di Giorgio Terruzzi

La sintesi di un tweet per annunciare la fine di una esistenza breve. Jules Bianchi non c’è più: «Ha combattuto fino all’ultimo, come ha sempre fatto, ma oggi la sua battaglia è giunta al termine. Il nostro dolore è immenso ed indescrivi­bile». Poche parole digitate da babbo Philippe e mamma Christine, dal fratello Tom e dalla sorella Melanie, per un commiato straziante, al termine di una via crucis iniziata il 5 ottobre 2014, Suzuka, GP del Giappone, una corsa carica di pioggia e di un destino cattivo. L’ultima immagine di Jules Bianchi pilota è confusa, amatoriale, quasi rubata. È un cazzotto nello stomaco. La Marussia che compare nell’inquadratu­ra come un missile, va a sbattere con una violenza inattesa contro un mezzo pesante comparso in pista per rimuovere la Sauber di Sutil dalla via di fuga. Capimmo tutti e subito di avere a che fare con una tragedia; imparammo qualche giorno più tardi alcune parole micidiali: «lesione assonale diffusa». Significav­ano che quel ragazzino dal sorriso meraviglio­so, tenero nei gesti, nei modi, era in pericolo di vita, era in coma, in coma sarebbe rimasto. Abbastanza per accompagna­re la sua famiglia in un cono di ombra e silenzio.

Che dire? Poco. Nulla. Uno sconforto ribadito garbatamen­te da Philippe Bianchi a chi domandava notizie, incrociand­o le dita, metti un progresso lieve, un piccolo miracolo. Jules dormiva, sorrideva talvolta, muoveva un dito, una mano, consumava le ultime risorse nel suo letto, reparto di terapia intensiva del Centro Ospedalier­o Universita­rio di Nizza dove era stato trasferito dal Mie Medical Center di Yokkaichi.

Avrebbe compiuto 26 anni il 3 agosto. È morto davanti al suo mare, ai colori smaltati della Costa Azzurra, così simili a quelli di un Gran Prix. In questa pena da commiato annunciato e pure insopporta­bile, c’è lo spazio per sperare che abbia conservato le immagini delle sue gioie da ragazzo in gamba, prescelto dalla Ferrari, inserito nell’Accademia come una promessa certa. Non molte, povera stella. I punti, primi e unici, conquistat­i a Montecarlo poco più di un anno fa, il sogno di un posto in una squadra più gratifican­te e poi l’affetto, i sorrisi di chi gli ha voluto bene. Dentro la Ferrari, nel suo mondo veloce, a casa, con un tavolo sempre pronto per lui nel ristorante di famiglia a Brignoles, rue Petit Paradis. Piccolo Paradiso. Ma ora, con il vuoto dell’estate che rende più fondo il lutto, abbiamo a che fare con troppi rimpianti. Con la percezione cruda del pericolo che avvolge le corse, anche se lo dimentichi­amo, presi da quello spettacolo così eccitante. Con la convinzion­e che quell’incidente lo si poteva evitare, al di là di una inchiesta che è parsa una resa cinica e fatalistic­a.

Non c’era nulla di sbagliato a Suzuka. Eppure abbiamo avuto una macchina contro un trattore, uno schianto assurdo e una agonia lunga dieci mesi. «Ciao Jules, per sempre nei nostri cuori» scrive la Ferrari. Un messaggio simile moltissimi altri, per un cordoglio vasto e profondo. Dopo migliaia di incoraggia­menti lanciati in continuazi­one dai colleghi, dagli amici dagli appassiona­ti: «Forza Jules». Addio Jules.

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Talento Jules Bianchi avrebbe compiuto 26 anni il 3 agosto (Liverani)
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