ADDIO BIANCHI LA F1 PIANGE IL SUO PILOTA
Il pilota è morto 9 mesi dopo l’incidente di Suzuka. Aveva 25 anni
La sintesi di un tweet per annunciare la fine di una esistenza breve. Jules Bianchi non c’è più: «Ha combattuto fino all’ultimo, come ha sempre fatto, ma oggi la sua battaglia è giunta al termine. Il nostro dolore è immenso ed indescrivibile». Poche parole digitate da babbo Philippe e mamma Christine, dal fratello Tom e dalla sorella Melanie, per un commiato straziante, al termine di una via crucis iniziata il 5 ottobre 2014, Suzuka, GP del Giappone, una corsa carica di pioggia e di un destino cattivo. L’ultima immagine di Jules Bianchi pilota è confusa, amatoriale, quasi rubata. È un cazzotto nello stomaco. La Marussia che compare nell’inquadratura come un missile, va a sbattere con una violenza inattesa contro un mezzo pesante comparso in pista per rimuovere la Sauber di Sutil dalla via di fuga. Capimmo tutti e subito di avere a che fare con una tragedia; imparammo qualche giorno più tardi alcune parole micidiali: «lesione assonale diffusa». Significavano che quel ragazzino dal sorriso meraviglioso, tenero nei gesti, nei modi, era in pericolo di vita, era in coma, in coma sarebbe rimasto. Abbastanza per accompagnare la sua famiglia in un cono di ombra e silenzio.
Che dire? Poco. Nulla. Uno sconforto ribadito garbatamente da Philippe Bianchi a chi domandava notizie, incrociando le dita, metti un progresso lieve, un piccolo miracolo. Jules dormiva, sorrideva talvolta, muoveva un dito, una mano, consumava le ultime risorse nel suo letto, reparto di terapia intensiva del Centro Ospedaliero Universitario di Nizza dove era stato trasferito dal Mie Medical Center di Yokkaichi.
Avrebbe compiuto 26 anni il 3 agosto. È morto davanti al suo mare, ai colori smaltati della Costa Azzurra, così simili a quelli di un Gran Prix. In questa pena da commiato annunciato e pure insopportabile, c’è lo spazio per sperare che abbia conservato le immagini delle sue gioie da ragazzo in gamba, prescelto dalla Ferrari, inserito nell’Accademia come una promessa certa. Non molte, povera stella. I punti, primi e unici, conquistati a Montecarlo poco più di un anno fa, il sogno di un posto in una squadra più gratificante e poi l’affetto, i sorrisi di chi gli ha voluto bene. Dentro la Ferrari, nel suo mondo veloce, a casa, con un tavolo sempre pronto per lui nel ristorante di famiglia a Brignoles, rue Petit Paradis. Piccolo Paradiso. Ma ora, con il vuoto dell’estate che rende più fondo il lutto, abbiamo a che fare con troppi rimpianti. Con la percezione cruda del pericolo che avvolge le corse, anche se lo dimentichiamo, presi da quello spettacolo così eccitante. Con la convinzione che quell’incidente lo si poteva evitare, al di là di una inchiesta che è parsa una resa cinica e fatalistica.
Non c’era nulla di sbagliato a Suzuka. Eppure abbiamo avuto una macchina contro un trattore, uno schianto assurdo e una agonia lunga dieci mesi. «Ciao Jules, per sempre nei nostri cuori» scrive la Ferrari. Un messaggio simile moltissimi altri, per un cordoglio vasto e profondo. Dopo migliaia di incoraggiamenti lanciati in continuazione dai colleghi, dagli amici dagli appassionati: «Forza Jules». Addio Jules.