I kamikaze in Iraq nell’area «liberata» e gli arresti sauditi: il Ramadan dell’Isis
Doveva essere un Ramadan di sangue e lo è stato. Dal Nord Africa fino all’Iraq, un asse geografico disegnato con una serie di attentati. Spaventoso quello avvenuto venerdì nella zona sciita di Diyala a nord di Bagdad. Un attentatore suicida dell’Isis ha fatto esplodere un camion riempito con tre tonnellate d’esplosivo. Carica devastante per un bersaglio indifeso: la folla al mercato. Il bilancio indica oltre 150 vittime, tra loro molti i bambini. Una strage che ha provocato rabbia, dolore e, ovviamente insicurezza in una fase delicata. Diyala, ufficialmente liberata dall’Isis, ha continuato però ad essere colpita da attacchi dinamitardi, omicidi mirati, agguati. Azioni portate avanti dai seguaci del Califfo per destabilizzare un’area importante mentre le autorità tentano di recuperare terreno nell’Anbar. E con il consueto dinamismo lo Stato Islamico «spariglia» le carte: se può lancia offensive limitate — simili a incursioni —, altrimenti si affida alla sua arma scelta, il veicolo esplosivo, oppure ad attacchi minori, comunque letali.
Joel Wing, l’esperto che studia la situazione irachena e «conta» gli eventi, ha fornito un paio di dati interessanti: nella prima settimana di luglio sono esplosi 16 mezzi-bomba e 32 sono stati neutralizzati; nella seconda settimana ne sono saltati per aria 26 e 36 sono stati bloccati. Si tratta di numeri che segnalano la capacità costante del Califfato nel produrre mezzi di questo tipo e la grande disponibilità di kamikaze disposti a guidare i veicoli fino al target. Lo Stato Islamico anche quando perde terreno prova comunque a riprendere l’iniziativa e a «inventare» qualcosa. Sul piano militare o mediatico. Ieri il New York Times ha rivelato che in almeno tre occasioni i mujahedin hanno usato contro i curdi iracheni proiettili di mortaio da 120 millimetri riempiti di una sostanza chimica tossica. Pezzi realizzati in officine del movimento e in seguito forniti alle unità impegnate nell’area della diga di Mosul. Tutto questo accade in un fronte sempre più ampio, dove ci si chiede quale sarà il prossimo anello della catena. Infatti fa notizia l’arresto in Arabia Saudita di ben 431 elementi vicini all’Isis. Secondo l’accusa stavano preparando attentati spettacolari, compreso uno contro un’enorme moschea nell’est del regno. Le cifre fanno pensare non a cellule ma piuttosto ad una retata preventiva in un Paese che, pur amico di forze estreme, ora deve vedersela con una realtà ben più minacciosa.