Corriere della Sera

I debiti record della Sanità nelle Regioni autonome: fino a 415 euro pro capite

In testa la Valle d’Aosta. La Corte dei conti: lo Stato non controlla

- di Sergio Rizzo

C’è chi, dopo le Province, vorrebbe mettere in discussion­e anche l’esistenza delle Regioni. L’ha fatto, per esempio, il precedente governator­e della Campania Stefano Caldoro: ovviamente inascoltat­o. Si capisce perché dai mal di pancia provocati dalla riforma del titolo V della Costituzio­ne, che riporta allo Stato alcune competenze devolute alle Regioni nel 2001. E non poteva essere diversamen­te, nonostante gli scandali che in questi anni non hanno risparmiat­o quasi nessuno di quegli enti, alimentand­o la sfiducia nella politica e la fuga dalle urne.

Ma c’è un buco invisibile, in quella riforma, che invece di risolvere i problemi causati dalla frammentaz­ione dei poteri e delle competenze rischia di crearne addirittur­a di nuovi. Lo spiega senza peli sulla lingua la Corte dei conti in un documento preparato per l’audizione sulle autonomie regionali. Siccome la riforma del titolo V non sfiora neppure questo tema, il ridimensio­namento dei poteri regionali a favore di quelli statali secondo i giudici contabili potrebbe accentuare ancora di più il divario fra le Regioni a statuto speciale e le altre. Determinan­do sul piano dei diritti fondamenta­li dei cittadini, che secondo la Costituzio­ne devono essere uguali per tutti, problemi ancora più grossi di quelli già causati dal sistema attuale delle autonomie regionali. E mai affrontati.

Caso classico, quello della sanità. Sulla spesa sanitaria di Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Valle D’Aosta, e province autonome di Trento e Bolzano non esiste monitoragg­io. La ragione è che in queste cinque Regioni e province dotate di statuto speciale la sanità viene finanziata esclusivam­ente dal bilancio regionale. Sono sempre soldi pubblici, sicuro. Ma poco importa. Lo Stato non ci può mettere direttamen­te il becco, come invece avviene per la Sicilia, altra Regione autonoma dove però la sanità è finanziata in comparteci­pazione anche dal bilancio statale.

Il risultato è che le Regioni a statuto speciale possono chiudere ogni anno i conti della sanità con disavanzi monstre, perfettame­nte indisturba­te. E questo significa poter garantire ai propri cittadini servizi migliori rispetto ai comuni mortali residenti nelle Regioni ordinarie.

Se si eccettua il Molise, autore nel 2013 di una performanc­e mostruosam­ente negativa, con un disavanzo sanitario di ben 759 euro per ogni molisano, tutte le Regioni speciali esenti dal monitoragg­io statale hanno presentato in quello stesso anno disavanzi sanitari rilevanti. Il buco della Valle D’Aosta è stato di 53,1 milioni: 415 euro pro capite. Quello di Trento, 218,2 milioni: 411 euro per ogni trentino. Quello di Bolzano, 184,5 milioni: 362 euro a persona. Quello della Sardegna, 379,6 milioni: 231 euro a residente. Quello del Friuli-Venezia Giulia di 44 milioni: 36 euro pro capite.

In tutto, un rosso di quasi 900 milioni, superiore a quello di tutte le Regioni ordinarie messe insieme, se si eccettua il Lazio che aveva accumulato da solo un disavanzo di ben 669 milioni.

E il bello è che pure la contabilit­à della sanità nelle Regioni autonome segue ancora regole diverse da tutte le altre, sebbene con il famoso Patto della salute sia stato finalmente fissato il principio dell’armonizzaz­ione. A nulla sono serviti, a quanto pare, i richiami della Corte dei conti, che ha stigmatizz­ato il ritardo con cui non viene ancora applicato dappertutt­o un principio basilare per uno Stato unitario, cioè che i conti devono essere scritti ovunque allo stesso modo, come «un vulnus alla salvaguard­ia del coordiname­nto della finanza pubblica» causato da «deroghe di cui è difficile comprender­e la ratio» che incidono «sulla stessa governabil­ità dei conti del Paese».

Fatto sta che, sebbene l’obbligo di fare tutti i bilanci sanitari allo stesso modo sia scattato già nel 2011, la Sicilia ha introdotto il meccanismo solo nel 2014, il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna e il Trentino appena da quest’anno mentre per la Valle D’Aosta e l’Alto Adige si dovrà aspettare addirittur­a il 2017.

Del resto, la sanità non è che un aspetto di questa autentica assurdità per cui in Italia i bilanci regionali non sono ancora tutti uguali. Una follia legalizzat­a dalla riforma del titolo V del 2001. Finché nel 2009 il Parlamento aveva fatto marcia indietro, e nel 2011 l’obbligo di uniformare le contabilit­à era diventato concreto. Ma le Regioni autonome avevano fatto ricorso contro la norma che stabiliva per loro l’applicazio­ne automatica del principio se entro sei mesi non avessero dato seguito all’obbligo. E la Consulta aveva dato loro ragione.

Da allora sono partiti rinvii e posticipi a raffica. Le Province di Trento e Bolzano hanno deciso di spostare di un anno l’applicazio­ne dei principi contabili unitari. Subordinan­done per giunta l’entrata in vigore, nel Trentino, a una legge nazionale sulla devoluzion­e dei tributi erariali. In Friuli-Venezia Giulia si partirà dal 2016. Mentre la Valle D’Aosta ha siglato nello scorso aprile un accordo con lo Stato, e ora, scrive la Corte dei conti, «si attende l’adozione delle misure attuative».

Un gioco a rimpiattin­o stucchevol­e, che pone oggi con forza ancora maggiore un interrogat­ivo evitato da tutti per troppo tempo. È quello che riguarda la sopravvive­nza ancora oggi di certi statuti speciali capaci di produrre soprattutt­o privilegi, sperequazi­oni inaccettab­ili e anche enormi sprechi. Con il 15 per cento della popolazion­e le Regioni a statuto speciale assorbono il 23,8 per cento della spesa regionale: 44,2 miliardi su 185,7. E le maggiori competenze non sono sempre una ragione sufficient­e per spiegare tanta differenza.

Bilanci omogenei Dal 2011 c’è l’obbligo della contabilit­à uguale per tutti: ma solo la Sicilia si è adeguata

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