Maigret in bombetta nella Cannes assolata
I viaggi e le indagini del commissario nei racconti di Georges Simenon Quando un bigliettino lasciato nella giacca rovina l’ennesima vacanza
Ben presto, l’indagine si sposta a Cannes, dove Brown frequentava il locale malfamato che dà il titolo al libro. Un piccolo locale di due metri per tre, una slot-machine, due tavoli, una vecchia signora e soprattutto una ragazza, Sylvie, la cui vestaglia lascia un seno completamente scoperto. La vita pigra, serena e assolata della Costa Azzurra sembra indifferente a quel che è accaduto: un’aria da vacanza, mentre Maigret, come a Parigi, porta un vestito nero e la bombetta, decisamente stonata rispetto all’ambiente. L’atmosfera sonnolenta, anzi oppiacea, fa di tutto per resistere alla volontà di vederci chiaro in quel garbuglio.
Non è raro che per Maigret il sentimento (e il desiderio) della vacanza estiva confligga con le sue esigenze professionali. Ne «Le vacanze di Maigret» L’autore Georges Simenon (1903-1989) scrittore belga, creatore del commissario francese Jules Maigret (1948), il commissario, in agosto, si trova in una stazione balneare della Vandea, a Les Sablesd’Olonne, quando sua moglie è costretta in ospedale da un’appendicite. È lì che qualcuno gli ha infilato nella tasca della giacca (che nonostante il gran caldo non toglie mai) un bigliettino anonimo dove gli si chiede di andare a visitare la camera 15. Vi è ricoverata una donna, in coma, che morirà il giorno dopo.
E così le meritate ferie del commissario parigino diventano un lavoro in incognito, fuori dalla sua giurisdizione. Vacanze rovinate e rovinato anche il sonno, per uno che tutto l’anno aspettava le ferie per starsene a letto fino a tardi, con le finestre aperte nella solita stanza dell’Hôtel Bel Air, le tende rosse e pesanti, il bagno sul pianerottolo, un balconcino con una splendida vista sulla «spiaggia vasta e lucente, il mare solcato da vele bianche e azzurre». Una spiaggia, manco dirlo, per famiglie e coppie anziane. Simenon indugia volentieri sull’ambiente: «Si aprivano i primi ombrelloni a righe e arrivavano i primi marmocchi col costumino rosso».
In quei giorni di solitudine senza la moglie, Maigret scendeva presto, già alla terza pipa, «rasato di fresco, con residui di crema da barba sulle orecchie». Aggirava la sala da pranzo dov’era affaccendata Germaine, la grossa cameriera dai seni incredibili, si infilava in cucina e beveva il primo bianco della giornata. Poi: una breve passeggiata sulla riva, il mercato coperto dove osservava i pesci guizzanti e i crostacei, il secondo calice di vino in un piccolo caffè, il giornale comperato davanti a Notre- Dame, tornava a sedersi a un tavolino e ordinava il terzo bianco della mattinata.
Dopo il pranzo e il calvados, che non osava rifiutare, si lasciava prendere dal torpore, osservava il solco lasciato dalle auto sull’asfalto incandescente e saliva in camera per fare la siesta in poltrona, sul balconcino, con la faccia coperta da un giornale. Ora, con quel bigliettino anonimo, le giornate di vacanza sono irrimediabilmente cambiate.