«Nelle istituzioni è necessario un surplus di moralità»
«Purtroppo c’è voluta altra sofferenza per una famiglia che ha già pagato un altissimo tributo di dolore, ma è come se le parole di Manfredi Borsellino avessero dato nuova linfa al ricordo del padre, che nel corso degli anni ha rischiato di diventare una consuetudine o poco più», dice Gioacchino Natoli, che da giudice istruttore lavorò al fianco di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, e ora è presidente della Corte d’appello di Palermo. Sabato era in prima fila ad ascoltare le parole del figlio del magistrato assassinato 23 anni fa, e ora ripensa a «quella ventata di aria pura, una sferzata che ha emozionato tutti. È un ulteriore debito che il Paese ha contratto con Paolo Borsellino».
Ma quel discorso è stato anche un atto d’accusa.
«Effettivamente, come ha sottolineato Manfredi, le dimissioni di Lucia Borsellino da assessore alla Sanità avrebbero meritato maggiore attenzione e riflessione. S’è voluto archiviare frettolosamente una questione che invece aveva motivazioni molto importanti. La scelta di voler aprire le porte della Sanità agli inquirenti è stata coraggiosa, oltre che di grande significato civile».
Pensa anche lei che la Sicilia, con due ex governatori condannati per contiguità con la mafia e quello attuale travolto dall’ultima polemica, sia una terra «disgraziata»?
«Penso che qui più che altrove convivono in maniera quasi inestricabile comportamenti e atteggiamenti morali che dovrebbero essere incompatibili. Diversi rappresentanti delle istituzioni infedeli e “deviati” sono stati processati, ma ciò non immunizza per il futuro. Per questo è necessario un tasso di moralità più alto e consapevole; una sensibilità sociale ai valori etici sempre all’erta, per evitare collusioni e commistioni inaccettabili».
Si riferisce alla politica siciliana?
«Alle istituzioni in genere; la politica, certo, ma non solo. Chiunque di noi deve avere una vigilanza rafforzata, e tenere comportamenti corretti. Anche l’apparire, non solo l’essere, è fondamentale, e probabilmente pure a questo si riferiva Lucia Borsellino nel motivare le sue dimissioni. Ovunque non è tutto oro quel che luccica, ma in Sicilia, purtroppo, c’è molto rame e molto piombo».
Che cosa pensa del «caso Crocetta»?
«Della vicenda non posso e non voglio parlare, né esprimo valutazioni sul governatore. Mi limito a sottolineare, come ha detto Manfredi, che indipendentemente dall’autenticità dell’intercettazione negata, è emerso un contesto che non lascia tranquilli. Quanto alla classe politica, ritengo che sia lo specchio della società che rappresenta; in questo senso dobbiamo guardarci dentro e fare tutti un po’ di autocritica: se i politici tengono comportamenti che non ci piacciono o non sembrano adeguati è anche perché noi non facciamo abbastanza per farli comportare diversamente».
Le vicende di questi giorni, come altre in passato, confermano la profezia di Leonardo Sciascia del 1987 sui «professionisti dell’antimafia»?
«Quel titolo fu l’infelice sintesi di un articolo che, a maxiprocesso ancora aperto, fu percepito e soprattutto utilizzato per sferrare un attacco a Paolo Borsellino da parte dei tanti nemici di quell’autentica ventata di rinnovamento nel contrasto a Cosa nostra. Poi anch’io so bene che l’antimafia è stata sfruttata nel tempo dagli stessi mafiosi, infiltrazioni e strumentalizzazioni sono sempre dietro l’angolo. Pure in questo settore non bisogna mai abbassare la guardia».
Nonostante la smentita della Procura, teme che il nuovo «caso Crocetta»sarà utilizzato per accelerare la riforma delle intercettazioni?
«Quando per anni non si riesce a sciogliere un nodo reale ogni polemica — in questo caso infondata, visto che la registrazione è stata negata — rischia di diventare il pretesto per soluzioni improvvisate. Le intercettazioni sono uno strumento utilissimo e indispensabile, ma bisogna evitarne l’uso distorto e deviato che talvolta s’è verificato. Tutto deve restare segreto fino alla discovery, e dopo bisogna evitare conseguenze su soggetti rimasti impigliati nelle conversazioni senza avere nulla a che vedere con il “bersaglio” investigativo. Se n‘è discusso tanto, ora è il momento delle scelte: consapevoli, ponderate, ma evitando di rimanere in mezzo al guado».
Le intercettazioni Il presidente della Corte d’appello di Palermo: sulle intercettazioni è il momento delle scelte