Diciottenne fa strage di studenti turchi Sognavano di ricostruire Kobane
Volevano rifare la biblioteca, in 30 uccisi da una kamikaze a Suruc. L’ombra dell’Isis
Non c’erano coperte per tutte le vittime: sui cadaveri sparsi nel giardino hanno adagiato giornali come lenzuoli. Corpi di volontari dai 18 ai 25 anni arrivati da tutto il Paese, racconta un giovane stranito alla tv turca. D’estate c’è chi va al mare, e chi prova a ricostruire Kobane.
La città simbolo della resistenza all’Isis sta a 10 chilometri, oltre il confine siriano. Suruc è la sua gemella in Turchia, abitata in prevalenza da curdi a cui si sono aggiunti in questi anni i profughi: migliaia sono fuggiti da Kobane e dintorni. La maggioranza non è più tornata di là, anche se nel gennaio del 2015 lo Stato Islamico è stato cacciato. Situazione fluida e sanguinosa: il mese scorso i miliziani Isis hanno tentato di infiltrarsi di nuovo uccidendo 200 civili. Ma quei trenta ragazzi massacrati sotto gli alberi del centro culturale La città siriana al confine con la Turchia diventata simbolo della resistenza all’Isis. Prende il nome da una società tedesca che, nel secondo decennio del XX secolo, costruì sul sito una delle stazioni della ferrovia Berlino-Bagdad. A lungo sotto assedio e ridotta in macerie, aveva 54 mila abitanti: le milizie curde l’hanno strappata al Califfato in gennaio, grazie anche ai raid alleati. A giugno i jihadisti hanno provato a riconquistarla, causando duecento morti. Amara, dilaniati da una coetanea diciottenne imbottita di esplosivo, ci volevano andare: con 200 compagni portavano negli zaini la speranza di ricominciare.
Si sentono le loro voci («Insieme abbiamo difeso Kobane, insieme la ricostruiamo») in un video su Facebook: girato ieri intorno a mezzogiorno, quando un boato ha devastato la tavolata dei volontari. Appartenevano alla Federazione dei giovani socialisti. Fatma Edemen, ferita come altri cento ragazzi, ha detto a Reuters che avevano un progetto, concreto e bellissimo. Camice a scacchi, scarpe da trekking, andavano a Kobane per costruire, piantare: una biblioteca, un bosco, un campo giochi.
Tutto è finito in fumo, nel lamento sincronizzato delle ambulanze e dei politici. «Il terrore non ha religione né razza né confini» ha tuonato il presidente
Video L’esplosione ripresa da un cellulare
Cordoglio Manifestazione per le vittime ieri a Istanbul Insieme Due ragazze giacciono per terra mano nella mano dopo l’esplosione che ha provocato almeno 30 morti e cento feriti a Suruc, nella provincia turca di Sanliurfa al confine siriano. Gli investigatori ritengono che sia stata una kamikaze diciottenne a farsi esplodere tra i giovani diretti a Kobane. Sospetti sull’Isis turco Erdogan da Cipro dove era in visita. Ed è così. Anche se per molto tempo il suo governo è stato accusato di giocare con il fuoco della realpolitik, chiudendo gli occhi sull’Isis. Perché Ankara è nemica del regime di Damasco, e vede con sospetto i curdi che combattono il Califfato, braccio armato di quel Pkk la cui ribellione separatista ha fatto 40 mila vittime dal 1984. Anche se qualcosa è cambiato nelle ultime settimane: raid, operazioni di polizia. Sabato 500 persone arrestate mentre attraversavano il confine «poroso» che è vitale per l’economia dello Stato Islamico e per la sua campagna di reclutamento all’estero.
Confine che avrà passato anche quella ragazza ancora senza nome che, secondo il governatore locale Abdullah Ciftci e alcuni giornali turchi, si è fatta esplodere nel giardino del centro culturale di Suruc. Una diciottenne, ha scritto Hurriyet, scelta per il primo vero attentato kamikaze dell’Isis in Turchia. Una coetanea dei giovani che volevano, pure loro, attraversare la frontiera. Non per unirsi ai tagliagole del Califfato. Ma reclutati da un’idea: sfidare il fanatismo con un campo giochi, un bosco, una biblioteca piantata fra le macerie.
@mikele_farina