Quegli investigatori dei sogni frustrati
«True Detective», la serie che dà dipendenza o fa da terapia (e chissà cosa accadrebbe se Ani e Ray lasciassero la polizia)
True Detective, la serie, è una forma di dipendenza e una terapia. Ha funzionato nella prima stagione; si è rimasti coinvolti, si è stati malissimo, si è rielaborato, se ne è usciti migliori. O forse era un’autoillusione, di quelle di cui parla con scoramento filosofico l’ex poliziotto Rust Cohle. Ha funzionato meno, o almeno diversamente, nella seconda; non c’erano due person aggionicome CohleMatthew McConaughey e Marty Hart-Woody Harrelson. I protagonisti erano spesso sia bidimensionali sia incomprensibili; la storia era sempre neo-noir, ma complicata, confusa, forse pretestuosa. C’erano momenti di intensa — anche rabbiosa — empatia e momenti di perplessità. Non c’era più il regista della prima tornata, Cary Fukunaga, e si sentiva.
La «weird fiction»
Ma c’erano gli stessi elementi generatori di dipendenza della prima: l’essere una weird fiction, una narrazione a balzi di cose strane-segrete-cruente mescolate alla normalità. E l’essere cupa. Nei personaggi, negli esterni che raccontano quanto la cupezza dell’ambiente circostante e la cupezza interiore formino un sistema di vasi comunicanti. Come nella vita e nelle opere del creatore, un trentacinquenne di nome Nic Pizzolatto. Scrittore diventato sceneggiatore diventato showrunner, cioè capo dei capi di una serie, non sopporta la sua famiglia sparsa tra New Orleans e i bayous della Louisiana (dove è ambientata la prima stagione). Non sopportava neanche di doversi adattare a trame e soggetti altrui lavorando nelle writer’s room di Los Angeles (e dintorni, dove è ambientata la seconda). È, par di capire, un disadattato capace di occasionali imprese mirabolanti, come i suoi non-eroi.
«I personaggi di Pizzolatto sembrano destinati a vedersi crudelmente negato ciò che desiderano di più», si è letto. Forse per questo accompagnano lo spettatore attraverso le proprie frustrazioni, e oltre. Cohle e Hart indagano, dice lui, dove «c’è tanta gente povera e stupida, alcol, risse, fanatismo religioso, ignoranza. E violenza come legittima retorica quotidiana». Mentre nella Los Angeles dove si muovono Colin Farrell-Ray Velcoro, poliziotto corrotto dagli occhi addolorati, e Vince VaughnFrank Semyon, malavitoso sobrio con ambizioni, «il macabro è in evidenza » . Anche nelle riprese aeree degli svincoli autostradali, trasmettono angoscia e senso di isolamento in una città senza fine.
E sono isolati i protagonisti. Incontrano reti di persone potenti e orrori mai del tutto spiegabili. Nella seconda stagione c’è anche un donna, la vicesceriffo Ani (Antigone) Bezzerides-Rachel McAdams. Figlia di un guru New Age, tonica e arrabbiata, quasi una metafora californiana. C’è poi un agente reduce di guerra e un po’ gay. Ci sono poi critici e pubblico, che hanno capito poco per molte puntate. Tra loro c’è la scrittrice seria Joyce Carol Oates. Ha recensito nonstop su Twitter; definisce True Detective «una fantasia altamente selettiva... di improbabili comportamenti eroici di persone amareggiate e senza dedizione professionale».
Insomma bene, ma «uno dei molti proiettili dovrebbe raggiungere la straziante cantante del bar».
Le immagini
Nella prima stagione, la fotografia virata sul giallo mostrava la foresta umida e la gente sfatta delle paludi del Sud. Nella seconda cambia spesso, notturna dall’elicottero, grigia come gli impianti industriali della corrotta città di Vinci, fumosa nei bar, sembra di stare in
un quadro di Edward Hopper.
Notizie marginali
True Detective è veicolo di riscatto per ex attori di commedie sceme. McConaughey e poi Vince Vaughn, (Due scapoli a nozze). Sua moglie Jordan è Kelly Reilly, l’inglese che tradisce il fidanzato ne L’appartamento spagnolo. La serie Hbo — come altre — è invasa dal product placement di una marca di whisky.
Frasi memorabili
«Lei ha la più grande aura che abbia mai visto. Verde e nera, occupa tutta la stanza».
«Posso farle una domanda, Mr. Velcoro? Lei vuole vivere?».
«Una domanda. Devo risolvere questo caso, o no?».
Finale alternativo
Ani lascia la polizia e rilancia il business New Age del papà. Ray lascia la polizia e mette su un apprezzato servizio di pestaggio dei papà dei bambini bulli. Jordan Semyon, l’unica che mostri un costante buonsenso, diventa sindaco di Vinci. Gli altri pazienza, la stagione è complicata, si diceva.
Le atmosfere I balzi nella narrazione e l’atmosfera cupa sono la costante anche nei nuovi episodi