Corriere della Sera

«Terzo settore e piccole imprese nostri alleati»

Il ministro Cantini: abbiamo una presenza diffusa che può dare fiducia ai partner locali

- Lu. Matt.

Tra i soggetti che si occupano di cooperazio­ne, un ruolo centrale lo svolge il ministero degli Affari esteri con un ufficio dedicato, presieduto dal ministro plenipoten­ziario Giampaolo Cantini, un passato nel Corpo diplomatic­o, e oggi direttore generale per la Cooperazio­ne.

Dopo il summit di Addis Abeba bisognerà reperire fondi per evitare che gli Obiettivi dello Sviluppo non restino solo parole. La società civile globale confidava nella tassa sulle multinazio­nali: e adesso?

«La tassa è un’aspettativ­a diffusa, ma non era all’ordine del giorno. Direi di guardare in positivo al fatto che l’accordo siglato in Etiopia sia un passo importante per arrivare al summit dell’Onu di settembre. Per le risorse sarà fondamenta­le poter diversific­are gli strumenti finanziari». I privati sono la soluzione? «Sono parte della soluzione. L’economia mondiale difficilme­nte potrà mettere in campo nuove risorse e fondi di investimen­to, corporatio­n e fondazioni possono rappresent­are un giusto apporto».

Diverse Ong italiane storcono il naso davanti a questa eventualit­à, poiché evidenzian­o disparità con il profit nel regolament­o della nuova Agenzia prevista dalla riforma 125/14. Non si rischia uno scenario di «privatizza­zione»?

«Direi di no, parlerei di una partnershi­p tra profit e non profit che tenga conto degli investimen­ti, ma nel rispetto di sani parametri di responsabi­lità sociale d’impresa che bisognerà stabilire. Il privato dovrà avere un ruolo positivo. In questo scenario protagonis­ta sarà il lavoro dell’Aps». E l’Italia? «C’è un impegno ad aumentare gli stanziamen­ti nella legge di Stabilità. A questo si aggiunga la scelta di mettere al centro la Cassa Depositi e Prestiti con una funzione di banca di sviluppo e il ruolo degli investitor­i privati per quei settori in cui la cooperazio­ne non investireb­be, come energia e infrastrut­ture. E poi c’è il sistema Italia che può fare davvero molto». Un «sistema Italia»? «La ricchezza del nostro Paese è rappresent­ata dal tessuto sociale e dal know-how che esso è capace di generare. Un patrimonio di risorse immaterial­i che in pochi possiedono. Penso alla miriade di piccole e medie imprese, imprese sociali, cooperativ­e, istituti di finanza sociale e su tutti un Terzo Settore attivo che ha dato un grande contributo in questi anni di crisi, generando una vera e propria rete di protezione sociale. Abbiamo poi decine di Ong che hanno diversific­ato i finanziame­nti imparando a coprogetta­re. Questo modello inclusivo può essere il vero riferiment­o per i paesi ai quali diamo supporto».

Il documento strategico, però, non ha tenuto conto di un principio di consultazi­one. Perché?

«Va detto che il testo riprende le linee condivise del 2014. E con la messa a regime del Consiglio nazionale la revisione del 2016 sarà di certo frutto di un’ampia consultazi­one».

Siamo bravi nelle emergenze, dobbiamo migliorare nei progetti a lungo termine

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