La velocità (e gli eccessi): il nuovo stile della leadership
Principe o Leviatano? Nel suo stile di governo ha portato l’esperienza di presidente di Provincia e di sindaco. Giunto al termine del ventennio berlusconiano, ha scelto il dialogo con gli altri poteri
Matteo Renzi: Principe o Leviatano? Termina con questa domanda un bel libro recente di Emanuele Felice sull’ascesa e il declino dell’Italia, edito da Il Mulino. Nell’attesa che si possano compiutamente valutare i risultati della sua azione, provo a esaminare il modo in cui governa il nostro presidente del Consiglio, e in particolare lo stile della sua leadership. Renzi è, innanzitutto, un premier che ama l’azione, imprime velocità ai processi di decisione, è un accentratore (e, quindi, qualche volta li rallenta).
Renzi è coraggioso (ma qualche volta intimorito da un mondo che non conosceva, circondato dal mito dei «poteri forti»). Si avverte qui la sua esperienza di presidente di Provincia e di sindaco, tipici politici-amministratori, diversi dai politici-uomini di partito.
Tiene vivo, in secondo luogo, il rapporto con l’opinione pubblica, perché sa che è suo compito far sentire nel Paese, anche con la parola, l’azione di governo, per trarne forza e legittimazione. Lo fa con un linguaggio schietto, persino a tratti irriverente, anche se talvolta con un eccesso di fiducia nelle sue capacità e con qualche accento guascone, che rende somiglianti certi suoi atteggiamenti a quelli del grande attore Jacques Tati.
Si misura, in terzo luogo, con obiettivi ambiziosi, dando a volte, però, l’impressione di indicarli senza essersene prima assicurati gli strumenti. Questo determina qualche incertezza sugli esiti delle singole iniziative, ma costringe gli altri (compresa l’amministrazione) a seguirlo. Si concentra troppo sul breve termine (l’ultima legge approvata), mentre molti aspettano anche una parola sul futuro, sui destini e gli obiettivi ultimi, ciò che servirebbe a colmare il distacco tra paese reale e paese legale.
In quarto luogo, Renzi è convinto della formula degasperiana per rimediare alla debolezza dei governi, quella di unire nelle sue mani le due posizioni, di capo del governo e di segretario del partito. De Gasperi riuscì a tener saldamente le due posizioni solo in due non lunghi periodi. Renzi non è ancora riuscito ad imprimere nel partito la svolta che sta cercando di dare all’azione dell’esecutivo.
Ora che i governi devono rispondere della loro azione anche all’Europa e ad altri governi, Renzi si muove nell’ambiente cosmopolitico a suo agio, ma non è ancora riuscito a conquistare quel rispetto che deriva dal tempo, dalla conoscenza personale, dalla padronanza dei dossier, dall’abilità di stabilire alleanze, dalla capacità di individuare obiettivi condivisi.
E veniamo a Parlamento e governo, l’arena propria dell’azione di un premier. Renzi non fa parte del Parlamento e lo frequenta solo quando necessario: preferisce che siano i suoi ministri a parlare e negoziare. Nel formare il governo, ha dato un segnale, per età e genere, anche se non è stato interamente padrone delle sue scelte. Nella compagine governativa, ha affermato la sua primazia, come si vede anche dalle riunioni del Consiglio dei ministri, frequenti, brevi, non sempre programmate.
Ma è nell’azione governativo-amministrativa che Renzi ha concentrato la sua azione (perché sa che l’amministrazione è politica al quotidiano), cercando di sostituire la burocrazia con quella che nelle scienze amministrative si chiama ad-hoc-crazia. Ha cominciato con un ricambio del personale dei Gabinetti. Poi, consapevole delle debolezze dei vertici amministrativi, recluta persone a cui conferisce compiti specifici, creando amministrazioni di missione, quindi temporanee e spesso episodiche. Questo modo di operare supplisce a carenze antiche, ma presenta anche inconvenienti: non riesce a sostituirsi del tutto alle reti e alle catene di attuazione degli indirizzi, né a vincere i particolarismi e i corporativismi degli apparati tradizionali.
Renzi arriva al termine del ventennio berlusconiano. Tutti si chiedono se lui non sia un Berlusconi in salsa democratica. In realtà, almeno due tratti distinguono lo stile di governo di Renzi da quello di Berlusconi. Nei governi di quest’ultimo ha dominato il «non fare», una specie di enrichissez-vous moderno, mentre Renzi fa e «fa fare» nella macchina legislativa ed amministrativa. Berlusconi non risparmiava ogni tipo di critica a tutti gli altri poteri, da quello legislativo a quello giudiziario, creando quindi tensioni nella macchina dello Stato. Renzi in silenzio li rispetta.
Renzi, anche grazie al suo stile di governo, ha conseguito finora alcuni risultati poco tempo fa insperati e ha sfidato alcuni importanti tabù in materia di lavoro, scuola e pubblica amministrazione. In conclusione, Renzi non è forse freddo e calcolatore come il Principe, ma non è l’uomo solo al comando, guidato dal suo istinto e dagli umori popolari, il nuovo Leviatano.