Ibra, le risse e i mal di pancia fuoriclasse del gol e degli addii
Per il resto quando il Gatto e la Volpe, cioè Ibra e Raiola, hanno deciso che fosse il caso di salutare la compagnia, non c’è stata storia. Hanno fatto quello che hanno voluto. A cominciare dall’estate del 2004: c’era da mollare l’Ajax, il club che tre anni prima aveva scoperto Zlatan a Malmoe, e attraverso una sorta di strategia della tensione, Ibra venne pilotato tra le braccia di Moggi nonostante un interessamento della Roma («Stiamo seguendo un certo Abramovich dell’Ajax» si lasciò scappare il presidente giallorosso Franco Sensi storpiandone il nome). Il piano messo a punto da Raiola prevedeva che il giovane svedese facesse casino nello spogliatoio sfruttando il suo scarso feeling con il compagno di reparto Van der Vaart. Passato ai posteri pure un parapiglia con l’egiziano Mido, amico-nemico, con il quale si divertiva a fare gare clandestine di auto. Per non lasciare nulla di intentato, Raiola gli faceva pure disertare gli allenamenti.
La tattica funzionò, Ibra divenne bianconero, ad agosto perché gli aiacidi vennero presi per sfinimento, e a Torino vinse scudetti revocati. Ma soltanto due anni più tardi, con la Juve travolta da Calciopoli, puntuale giunse il mal di pancia che (sempre ad agosto) lo indirizzò a Milano, sponda Inter, dopo essersi promesso al Milan che però, dovendo ancora giocare il preliminare di una Champions che poi vinse (Atene, 23 maggio 2007), non era in grado di garantirgli l’Europa. Tutti i colori di Zlatan Da sinistra partendo dall’alto Ibrahimovic con le maglie di Malmoe, Ajax, Juventus, Inter, Barcellona, Milan e, al centro, Psg (Richiardi, Ap, Sposito, Epa) «La mia carriera era appena iniziata, non potevo seguire la Juve in serie B» confidò nella sua autobiografia. Ma non è che, vestito di nerazzurro, l’andazzo sia cambiato: nonostante scudetti, coppe e supercoppe a lui mancava la Champions e Barcellona gli pareva la piazza ideale per raggiungere lo scopo. Così a marzo del 2009 ecco puntuale la risposta sibillina dopo un 2-0 alla Fiorentina («La prossima Champions? Vediamo, dobbiamo vedere…») e, un paio di mesi più tardi, i gestacci ai tifosi che lo avevano timidamente fischiato contro la Lazio. Risultato: Ibra (e Raiola) a Barcellona, peraltro senza fare i conti con Pep Guardiola, «il vigliacco meditabondo » che gli preferiva Bojan. Così, agosto del 2010, mettendo in giro la voce che il Real Madrid era lì lì per piazzare un’offertona, Raiola («Il mio meraviglioso ciccione idiota» come lo chiama Ibra) convince il Barça a mollare la sua gallina dalle uova d’oro a Galliani per soli 24 milioni!
Ora siamo all’ultimo mal di pancia conosciuto. Ibra potrà prendersi la rivincita e tornare al Milan alla soglia dei 34 anni. Se ne andrà verosimilmente a 37 anni, ricco sfondato. E lo chiamano rinnovamento! Ma questa, ovviamente, è tutta un’altra storia.