Quel segnale ai magistrati e ai dissidenti pd
La scelta di una posizione impopolare per una parte del partito Il ministro Orlando condivide: nelle sue parole niente di scandaloso
Èuna dichiarazione scontata eppure è senza precedenti. E solo questo paradosso basterebbe a descrivere lo stato in cui versano i rapporti tra il potere politico e l’ordine giudiziario. Ma ancor più paradossale è che sia toccato al capo del governo difendere le prerogative delle Camere, spiegare cioè che non sono «il passacarte delle procure». Lo stesso Renzi l’ha fatto notare dopo la sua esternazione, quando a microfoni spenti ha ricordato che «la difesa dell’autonomia del Parlamento tocca ai presidenti delle Camere».
Il rispetto dei parametri istituzionali in Italia è più complicato del rispetto dei parametri di Maastricht: è da oltre venti anni che le regole del gioco in tema di giustizia sono saltate, che la consuetudine è diventata legge. Perciò ieri il presidente del Consiglio ha destato scandalo quando si è appellato a un principio costituzionale che nel tempo era stato impropriamente trasformato in un privilegio di casta. Mai era accaduto fino ad oggi, né sul finire della Prima Repubblica — quando un’intera classe dirigente chinò il capo di fronte al vento giustizialista — né all’acme dello scontro tra Silvio Berlusconi e le toghe, che produsse solo norme ad personam e non una riforma del sistema.
Ieri Renzi ha chiesto invece solo «il rispetto» del Parlamento e delle sue decisioni. Il voto con cui palazzo Madama ha rigettato la richiesta di arresto del senatore centrista Antonio Azzollini poteva anche rispondere a logiche politiche, e il premier poteva anche avere (e aveva) interesse a garantirsi la stabilità di maggioranza, ma dopo le sue parole persino il capo dell’Anm Rodolfo Sabelli ha dovuto riconoscere che magistratura e Camere hanno «un diverso ruolo e un diverso ambito di valutazione». Dunque la «sentenza» del Senato va tutelata dagli attacchi. E poco importa se la sua sortita desterà polemiche: così dicendo infatti il leader del Pd ha abbattuto un tabù, assumendo una posizione impopolare soprattutto presso l’elettorato di sinistra.
Ma è proprio «la fatica di spiegare», come la definisce Giorgio Tonini, che può far cadere certi pregiudizi. E secondo il senatore democratico bisognava spiegare perché — nel caso Azzollini — la richiesta di arresto avanzata dalla procura di Trani andava respinta, con argomentazioni coraggiose e al contempo gravi, sottolineando che l’ordinanza «segnava una netta invasione di campo della magistratura ai danni del Parlamento» e «metteva in discussione il principio della separazione dei poteri»: «È inaccettabile che l’impianto accusatorio ruoti attorno all’approvazione di alcune norme da parte del Senato. Allora che vengano i procuratori a fare i legislatori. E poi quella citazione che sembra un atto di intimidazione...». Già, per quale motivo i magistrati hanno voluto ricordare che, all’epoca, il relatore di quelle leggi era l’attuale vice presidente del Csm Giovanni Legnini?
Il merito e il metodo. Sul merito il premier non si è espresso, ma nel metodo il Guardasigilli Andrea Orlando è dalla sua parte: «Non c’è niente di scandaloso nelle parole di Matteo», ha commentato con un compagno di partito. Ed è anche al suo partito che ieri si è rivolto Renzi. Sulle questioni da codice penale finora il leader del Pd aveva oscillato tra atti intransigenti e dichiarazioni garantiste, e sulla vicenda Azzollini l’opportunità rischiava di sfociare nell’opportunismo. Non poteva tacere, dopo gli attacchi della minoranza e soprattutto dopo le parole pronunciate da Debora Serracchiani: quelle «scuse» che ad avviso della vice segretaria andavano rivolte agli elettori del Pd stavano per destabilizzare il gruppo al Senato. Per questo era intervenuto poco dopo l’altro vice segretario Lorenzo Guerini, per «coprire» il capogruppo
Schifani (Ncd) «Dal capo del governo frasi importanti che mi sarei aspettato dai presidenti delle Camere» Ambiti separati Sabelli, presidente Anm: noi e il Parlamento abbiamo diversi ruoli e ambiti di valutazione
Luigi Zanda ed impedirne la delegittimazione.
Insomma, sulla giustizia c’è stato un vero e proprio scollamento nell’area del renzismo e il leader doveva intervenire per comporre la vicenda e dettare la linea. Quel voto di coscienza ha finito per indagare la coscienza di una forza che per anni ha tratto forza dal giustizialismo e lo ha — a sua volta — alimentato. Bisognerà vedere fino a che punto davvero Renzi vorrà cambiar verso al Pd. Di sicuro ha impresso una svolta nei rapporti istituzionali, invocando il rispetto del ruolo delle Camere. «Parole importanti e impegnative», secondo Renato Schifani, che ha guidato l’Assemblea di palazzo Madama e che ieri si chiedeva «come mai quelle parole le ha pronunciate il presidente del Consiglio. Mi sarei aspettato che lo avessero fatto prima i presidenti di Camera e Senato».