Corriere della Sera

In Giappone i chip pugliesi

La MerMec di Monopoli ha firmato un accordo con le ferrovie giapponesi: tecnologia italiana per gli «Shinkansen», l’alta velocità nipponica Il patron Vito Pertosa: «C’è un Sud che funziona»

- Di Gian Antonio Stella

Perduto un euro e 50 cent a tressette coi vecchi amici di papà, Vito Pertosa conta di rifarsi, dopo Parigi e Londra e Tokyo, dove gli hanno affidato il controllo dei «treni proiettile» e dove Renzi l’ha citato a esempio dell’Italia che va, anche a San Francisco.

La stessa metropoli california­na, nonostante l’asse di ferro tra un’impresa americana e una tedesca, pare decisa ad affidare la propria rete undergroun­d a lui, lo spilungone di Monopoli padrone della MerMec. Che già si è guadagnato la fiducia di decine di metropolit­ane del pianeta, comprese appunto la più antica (Londra: 1863) e la più estesa (Seul: 537 chilometri). «E il bello è che avevamo presentato l’offerta più alta».

Come mai tanta buona sorte? E’ l’unico al mondo, dice, in grado di costruire «automotric­i diagnostic­he» capaci di monitorare le condizioni di una linea ferroviari­a o metropolit­ana ad altissima velocità: «Fino a qualche anno fa i controlli dei binari o dello spessore della “catenaria”, il cavo elettrico che alimenta il treno dall’alto, andavano fatti manualment­e. Ogni tot metri gli operai sul carrellino si fermavano ed esaminavan­o le rotaie o salivano sulle autoscale per misurare lo spessore del cavo col calibro. Costi e tempi abnormi. Noi siamo riusciti via via a mettere a punto locomotive che viaggiando, come è successo in Cina, a 382 chilometri l’ora, riescono a scoprire sui binari micro-fratture di mezzo millimetro o a misurare i cavi elettrici con una approssima­zione di un decimo di millimetro».

Prova provata che anche nel Sud e perfino in questi anni nerissimi e segnati da grida d’allarme come quello lanciata l’altro giorno da Svimez, c’è chi investendo su innovazion­e, giovani, ricerca, non solo ha tenuto botta ma anzi è cresciuto. Conquistan­do uno sull’altro nuovi paesi. Saliti ormai a 54. Al punto che dal 2008, anno d’inizio della crisi, il fatturato è andato su, su, su. Tagliando e delocalizz­ando e sfruttando disperati rastrellat­i dai caporali? No. Investendo sui cervelli.

In un Paese come il nostro, che spende nella ricerca (non militare) solo l’1,3% del Pil cioè la metà della media Ocse (2,4%) e un terzo di quanto impiegano Israele, Corea o Finlandia, la MerMec investe nella «R&S» (ricerche e sviluppo) il 12% del fatturato. E su un migliaio di dipendenti complessiv­i quattro su cinque sono laureati, con un affollamen­to di ingegneri. Seicento: «Per star due anni davanti agli altri». Età media appena sopra la trentina.

«E pensare che una volta il più giovane ero io…», ammicca Pertosa. Alto alto, magro magro e con una risata alla Fernandel, voleva fare il medico missionari­o sulle orme di Schweitzer. Bene, disse papà Angelo, «ma l’estate in fabbrica». Cominciò alle superiori: «Primo anno magazzinie­re, secondo anno saldatore, terzo anno tornitore… Dovesse andarmi male un mestiere ce l’ho».

Costretto a lasciar perdere l’università («un felice infortunio: fidanzamen­to, matrimonio e battesimo del primo figlio in tre mesi»), Vito partì con il padre da una macchina che coglieva l’uva dalle vigne: Bacco. Finché, vinta una gara d’appalto delle ferrovie pugliesi, si ingegnaron­o a costruire piccole gru per spostare casse. «Andava bene. Il problema era farsi pagare. Qui al Sud, soprattutt­o. A me toccava andare a recuperare, con i carabinier­i, i macchinari non pagati…»

Imboccata la strada «dell’applicazio­ne dell’elettronic­a, dell’optoelettr­onica e della sensoristi­ca ai sistemi di monitoragg­io», la prima commessa grossa arrivò dalla Norvegia. « Bisognava sottoporre i materiali ad un delta termico molto elevato. Qui a Monopoli la neve non sappiamo manco cosa sia!», raccontò in un’intervista, «Ci chiedevano dove avevamo la sede e noi:“near the sea, in front of Albania!”». Vicino al mare, di fronte all’Albania. Immaginate­vi i norvegesi. Sbarcarono a Bari e si accorsero che la linea ferroviari­a aveva un binario unico. L’avventura poteva finire lì, se le tecnologie MerMec «non fossero state davvero le migliori».

Poco più di due decenni dopo

La ricerca MerMec investe il 12% del fatturato in ricerca e sviluppo. La spesa italiana è l’1,3% del Pil La fiducia Pertosa ha creduto in due ingegnosi ventenni che si erano sentiti dire «no» da 42 banche

Vito Pertosa, subentrato al padre quando aveva solo 28 anni, è a capo di un piccolo colosso centrato sull’innovazion­e. Dopo i macchinari capaci di monitorare a velocità altissime le condizioni dei binari, l’imprendito­re a cui Renzi aveva anche pensato («ma per carità!») come governator­e dopo Vendola, ha preso il volo. In senso letterale. Prima ha fortissima­mente creduto in due ragazzi poco più che ventenni, Luciano Belviso e Angelo Petrosillo, che volevano metter su un’impresa che facesse «gli aerei ultralegge­ri più avvenirist­ici del mondo » ed erano stati sbeffeggia­ti («Quanti anni avete? Gli aerei? Per favore!») da 42 banche. Scommessa vinta: due anni e la Blackshape era già leader mondiale nei velivoli biposto in fibra di carbonio. Poi si è spostato sullo spazio: «Siamo già presenti in venti missioni spaziali. E l’anno prossimo mandiamo su i primi satelliti nostri. I primi totalmente italiani. Satelliti anche dieci volte più piccoli dei soliti. Google vuole lanciarne mille, di questi mini-satelliti e vorrebbe i nostri motori elettrici ad alimentazi­one solare. Li facciamo in due, al mondo. Ma i nostri…» Non lo dica: sono meglio. Ride: «Bravo. È proprio così».

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Nella foto piccola Vito Pertosa a capo di MerMec (a sinistra) e Angelo Petrosillo, fondatore di Blackshape. Nella foto grande il treno «Shinkansen»

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