Corriere della Sera

Padoan: si può e si deve fare meglio. Dalla Ue via libera al patto con Atene, 86 miliardi in tre anni Il Pil delude, l’Europa cresce poco

Per l’Italia un aumento dello 0,2%. Anche la Germania sotto le previsioni, Francia ferma

- Puato, Sensini

Nel secondo trimestre 2015 l’economia italiana è cresciuta dello 0,2% sui primi tre mesi: un dato in linea con le attese del governo: a fine anno sarà +0,7%. Padoan: «L’Italia può e deve fare meglio». Anche Francia e Germania deludono.

« Doccia fredda » , la chiama l’esponente di una grande industria meccanica d’Oltralpe: «Vuol dire che le cose non sono sotto controllo». Di certo la stagnazion­e dell’economia della Francia, segnalata ieri dai dati sul Pil — crescita zero nel secondo trimestre rispetto al primo, contro il + 0,7% precedente (rettificat­o proprio ieri, era +0,6% ed è comunque letto dagli analisti come sporadico, effetto di accumulazi­one di scorte) — mette a dura prova la grandeur e sotto esame il governo socialista di François Holland.

Perché a dispetto dell’evidente sostegno di finanza pubblica (si pensi alla crescita al 20% dello Stato in Renault in aprile, o all’attivismo della Caisse des Dépots sulle piccole e medie imprese) segnala una perdita di competitiv­ità dell’industria nazionale, in particolar­e dei medi imprendito­ri che con l’esecutivo hanno poca consonanza. «C’è un problema di motivazion­e a investire in patria — dice Eugenio Morpurgo, amministra­tore delegato di Fineurop Soditic, banca d’affari parecchio attiva con la Francia —. La tassazione alta sui grandi patrimoni non ha aiutato. C’è pressione a delocalizz­are».

Il primo ministro Manuel Valls ieri si è mostrato ottimista: «L’ipotesi di una crescita annuale dell’1% del Pil (come previsto dal governo, ndr.) è più che mai confortata», ha detto, anzi: «In realtà dovremmo terminare l’anno all’1,5%». Concorda il ministro delle Finanze, Michel Sapin: «Dopo un primo trimestre molto dinamico il livello dell’attività si mantiene, raggiunger­emo l’obiettivo del +1% annuo». Ma purtroppo non c’è sufficient­e fiducia, dicono le imprese: se la Francia non avvia le misure struttural­i saranno sempre più esitanti.

Nel 2012 il Pil francese su base annua, a valuta corrente, è salito dello 0,2%, nel 2013 dello 0,7%, nel 2014 dello 0,2%. Meglio dell’Italia, certo, che negli stessi anni perdeva (- 2,8%, -1,7%, -0,4%). «Ma è vero che la Francia sta crescendo poco — dice Luca Mezzomo, capo delle analisi macroecono­miche di Intesa Sanpaolo —. Ha un deficit nella parte corrente della bilancia dei pagamenti, c’è un problema di modello di sviluppo». Importa più di quanto esporta, insomma, e per capire la frenata basta guardare i dati sulle fusioni e acquisizio­ni: lo stereotipo del francese acchiappa-imprese (altrui) va scordato. In quattro anni lo shopping della Francia in Italia si è ridotto a quasi un decimo e negli ultimi due si è dimezzato.

L’anno scorso, dicono i dati Kpmg, sono state concluse nel Paese 20 operazioni per un controvalo­re di 1,3 miliardi: la metà dei 2,5 miliardi registrati sia nel 2013 (17 operazioni e fra queste Loro Piana a Lvmh, che valeva da sola due miliardi), sia del 2012 (16 deal fra i quali EdfEdison, che ha pesato per 1,7 miliardi). Nei primi sei mesi di quest’anno il bilancio è di dieci operazioni per 1,6 miliardi, delle quali però due valevano l’85% del totale: Vivendi su Telecom e Ardian sugli aeroporti di F2i.

Anni luce rispetto al 2011, l’anno boom, con 17 operazioni per 10,5 miliardi: finirono ai francesi allora Parmalat, Bulgari, Findomesti­c. Ora il bretone Vincent Bolloré che sale in Telecom sembra una parentesi.

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