Corriere della Sera

ORMAI NON SI PUÒ SPRECARE ALTRO TEMPO

- SEGUE DALLA PRIMA Dario Di Vico

Matteo Renzi ci ha provato con gli 80 euro che gli hanno dato un elevato dividendo politico ma purtroppo non si sono trasferiti ai consumi. I contribuen­ti li hanno usati per pagare altre tasse e quando ci sono riusciti li hanno messi sul conto corrente. Palazzo Chigi ci ha riprovato con il Jobs act e la decontribu­zione delle nuove assunzioni e anche in questo caso il cavallo ha bevuto solo in parte, il mercato del lavoro non è ripartito come avrebbe dovuto e per ora ci si è limitati a stabilizza­re una fetta di precariato. Nelle stesse condizioni non è affatto certo che molti dei feroci critici di Renzi avrebbero fatto meglio. Detto tutto questo però stiamo rischiando di sprecare il 2015 senza aver riavviato il motore e rimandando l’appuntamen­to di anno in anno. È vero che a scorrere i dati della rilevazion­e di ieri sul Pil anche i nostri partner europei non se la passano bene. In qualche caso, come la Francia, vengono in superficie malattie più gravi della semplice defaillanc­e di un dato congiuntur­ale. Mal comune però non fa mezzo gaudio perché abbiamo imparato da tempo che le altre economie sono più rapide a risalire — vedi la Spagna — e noi siamo dei pachidermi. È chiaro comunque che tutto il Vecchio Continente paga i ritardi di una politica comunitari­a inconclude­nte e di un’agenda monopolizz­ata dal rischioGre­xit. Del piano Juncker che doveva rinverdire i fasti intellettu­ali di Jacques Delors e segnare la discontinu­ità dalla legislatur­a affidata a Barroso si sa tutto sommato ancora troppo poco. E comunque non pare il jolly capace di ribaltare l’andamento della partita.

In attesa di novità dalla Ue, però, che dobbiamo fare in Italia? Leggendo i commenti di ieri si ha l’impression­e che il Pil sia utilizzato, da una parte e dall’altra, per un referendum su Renzi. È scontato dirlo ma sarebbe meglio concentrar­si sulle cose da fare: il governo sta già lavorando alla legge di Stabilità che prevede un allentamen­to della pressione fiscale sulla casa. Si pensa per questa via di liberare risorse che potrebbero tornare ai consumi e di far saltare il blocco psicologic­o che finora ha sterilizza­to fiducia e aspettativ­e. Vedremo. Guai però a pensare che tutte le leve dell’economia reale si possano azionare da Palazzo Chigi. I comportame­nti dei soggetti in campo sono decisivi anch’essi e sindacati e imprese non si possono limitare a compilare la pagella del governo. Ci sono compiti d’autunno anche per loro. Perché la Confindust­ria non sceglie risolutame­nte la strada della Borsa e non indica alle imprese la priorità della crescita dimensiona­le come strumento per cogliere le opportunit­à di mercato a dimostrazi­one del coraggio degli imprendito­ri? E i sindacati perché non propongono a una base stanca e ripiegata su se stessa il duplice obiettivo dell’unità tra le confederaz­ioni e della riforma della contrattaz­ione? È indimostra­bile che l’adrenalina faccia salire il Pil ma è sicuro il contrario: il tran tran favorisce la stagnazion­e.

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