Le strade dell’anarchia non s’incrociano con la politica
Pisacane, Bresci, Malatesta, il Sessantotto: coerenza e sconfitte di un movimento rivoluzionario
L’ anarchia è la forma più coerente di pensiero rivoluzionario, poiché rifiuta l’idea di conquistare il potere, con il fucile o la scheda elettorale, ma aspira a distruggerlo, abbattendo tutte le strutture di dominio dei governanti sui governati, a cominciare dallo Stato. Proprio il suo intransigente rigore rende però il movimento libertario poco incisivo sul piano politico, là dove la dimensione del potere, stringi stringi, non può essere elusa.
Lo dimostrano le vicende ripercorse con passione e competenza da Antonio Senta nel lavoro di sintesi Utopia e azione (Elèuthera), che spazia dal 1848 al 1984, restituendo alle forze anarchiche il ruolo per nulla irrilevante, ma spesso disconosciuto, che hanno svolto nella storia del nostro Paese.
In circa un secolo e mezzo di lotte, non ha funzionato l’appello alla spontaneità sovversiva delle masse, sin da quando il tentativo di Carlo Pisacane, progenitore dell’anarchismo italiano, fallì sotto i colpi dei contadini che avrebbe voluto far insorgere. Mentre l’idea di creare un partito anarchico, cioè una struttura di potere dotata di una classe dirigente stabile,
Simbolo anarchico su un muro di Roma (Adn Kronos) è in evidente contraddizione, nota Claudio Venza nella prefazione del libro, con gli ideali del movimento.
Così gli anarchici si sono trovati spesso isolati, costretti a puntare sul gesto esemplare, come l’uccisione di re Umberto I da parte di Gaetano Bresci. Oppure hanno sofferto la maggiore efficienza, sul piano militare e organizzativo, non solo della repressione statale, ma anche di partiti concorrenti gerarchizzati, specie i comunisti.
Perciò, conclude Senta, dopo l’ultima effimera stagione di effervescenza libertaria seguita al Sessantotto, gli anarchici non insurrezionalisti tendono ora a concepire il proprio impegno «come modo di pensare la vita, di costruire nuove forme di socialità e nuove relazioni». Comportarsi come se lo Stato non esistesse può essere una strada feconda, data la crisi delle sovranità nazionali. Di certo in questa chiave il prototipo del militante anarchico, più che a Bresci o al carismatico Errico Malatesta, somiglia all’assai meno noto Dino Fontana, sarto esperantista e non violento, «vegetariano, naturista, autodidatta», che Senta ricorda con trasparente simpatia. La politica, però, è altrove.
@A_Carioti