Corriere della Sera

Addio al sacerdote siciliano VENTORINO UN UOMO DI DIO E DEL MONDO

- di Ernesto Galli della Loggia

F rancesco Ventorino, sacerdote cattolico spentosi a Catania lunedì mattina, era una delle innumerevo­li persone che muoiono ogni giorno, il cui nome dice qualcosa solo a chi le ha conosciute. I giornali necessaria­mente le ignorano, anche se tante di queste persone hanno incarnato quelle capacità pratiche e quelle virtù, quella tempra morale, che alla fine rendono sufficient­emente umani i luoghi e la vita che viviamo.

Ventorino era per l’appunto uno di loro: e il ricordarlo qui pubblicame­nte vorrebbe essere anche un modo di risarcire i tanti senza nome di cui dicevo sopra.

Benché profondame­nte siciliano, anche lui avrebbe potuto dirsi altrettant­o profondame­nte un «prete romano», come diceva di sé don Giuseppe De Luca. Cioè uomo di Dio ma insieme anche del mondo: vale a dire con il gusto per le concrete vicende dei suoi contempora­nei, per le loro idee, le loro lotte e le loro speranze: compresi i modi e le regole dello stare insieme. Un gusto alimentato dalla convinzion­e che con tutto ciò il messaggio cristiano non possa fare a meno di misurare la sua alta capacità ispiratric­e: senza alcuna presunzion­e egemonica ma pure senza nessuna timidezza.

Fu probabilme­nte questa convinzion­e, anche questa convinzion­e, una delle premesse decisive per l’incontro di don Ventorino con l’esperienza di Comunione e liberazion­e. E fu in quella ormai lontana stagione, immagino, tra i giovani ciellini, a cui dedicò anni e anni di riunioni attraverso tutta l’Italia che egli diventò il don Ciccio che poi sarebbe stato per tutti. Illuminand­oli con la sua fede e consiglian­doli con la sua intelligen­za arguta. Collaborat­ore tra i più intimi di Giussani, dopo la morte di questi il nuovo corso di Cl, così pieno di ombre, lo mise progressiv­amente ai margini, fino a consumare una separazion­e destinata a restare una ferita forse non rimarginat­a.

È in questo periodo della sua vita che chi scrive lo ha conosciuto davvero, dal momento che come poche altre cose amava parlare, scambiare idee e propositi con chi sapeva lontano ma per tanti altri versi sentiva vicino. Ormai anziano, si era gettato con il suo ardore instancabi­le nell’apostolato tra i carcerati di Catania (per metà non cristiani), di cui era diventato un leader amatissimo. Restando quello che era sempre stato: un testimone impavido della propria fede, convinto che il bene e l’amore sono più forti del male e dell’odio, che solo la via della Croce salverà il mondo.

Riposa in pace, don Ciccio.

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