Addio al sacerdote siciliano VENTORINO UN UOMO DI DIO E DEL MONDO
F rancesco Ventorino, sacerdote cattolico spentosi a Catania lunedì mattina, era una delle innumerevoli persone che muoiono ogni giorno, il cui nome dice qualcosa solo a chi le ha conosciute. I giornali necessariamente le ignorano, anche se tante di queste persone hanno incarnato quelle capacità pratiche e quelle virtù, quella tempra morale, che alla fine rendono sufficientemente umani i luoghi e la vita che viviamo.
Ventorino era per l’appunto uno di loro: e il ricordarlo qui pubblicamente vorrebbe essere anche un modo di risarcire i tanti senza nome di cui dicevo sopra.
Benché profondamente siciliano, anche lui avrebbe potuto dirsi altrettanto profondamente un «prete romano», come diceva di sé don Giuseppe De Luca. Cioè uomo di Dio ma insieme anche del mondo: vale a dire con il gusto per le concrete vicende dei suoi contemporanei, per le loro idee, le loro lotte e le loro speranze: compresi i modi e le regole dello stare insieme. Un gusto alimentato dalla convinzione che con tutto ciò il messaggio cristiano non possa fare a meno di misurare la sua alta capacità ispiratrice: senza alcuna presunzione egemonica ma pure senza nessuna timidezza.
Fu probabilmente questa convinzione, anche questa convinzione, una delle premesse decisive per l’incontro di don Ventorino con l’esperienza di Comunione e liberazione. E fu in quella ormai lontana stagione, immagino, tra i giovani ciellini, a cui dedicò anni e anni di riunioni attraverso tutta l’Italia che egli diventò il don Ciccio che poi sarebbe stato per tutti. Illuminandoli con la sua fede e consigliandoli con la sua intelligenza arguta. Collaboratore tra i più intimi di Giussani, dopo la morte di questi il nuovo corso di Cl, così pieno di ombre, lo mise progressivamente ai margini, fino a consumare una separazione destinata a restare una ferita forse non rimarginata.
È in questo periodo della sua vita che chi scrive lo ha conosciuto davvero, dal momento che come poche altre cose amava parlare, scambiare idee e propositi con chi sapeva lontano ma per tanti altri versi sentiva vicino. Ormai anziano, si era gettato con il suo ardore instancabile nell’apostolato tra i carcerati di Catania (per metà non cristiani), di cui era diventato un leader amatissimo. Restando quello che era sempre stato: un testimone impavido della propria fede, convinto che il bene e l’amore sono più forti del male e dell’odio, che solo la via della Croce salverà il mondo.
Riposa in pace, don Ciccio.