Corriere della Sera

Ora è dimostrato: le favole fanno bene

Gli scienziati americani hanno misurato gli effetti sul cervello dai 3 ai 5 anni di una favola letta a voce alta dai genitori «Impara a integrare suoni e immagini»

- di Paolo Di Stefano

Ora lo sappiamo con maggiore certezza: leggere ai piccoli favorisce l’attivazion­e cerebrale, in particolar­e di quelle aree che presiedono all’elaborazio­ne semantica e alle immagini mentali.

Si dirà che già tanti genitori, da che mondo è mondo, l’hanno intuito e sperimenta­to quotidiana­mente, ed è vero. Ma adesso un’équipe di studiosi dell’Ospedale pediatrico di Cincinnati (Ohio), guidata da John Hutton, lo dimostrere­bbe in termini scientific­i, avendo sottoposto un gruppo di bambini in fase prescolare, tra i3 ei 5 anni, a risonanza magnetica funzionale per valutare in che modo l’ascolto di letture adatte alla loro età riesca a incidere nell’attività cerebrale.

Ebbene, i risultati dicono che nei piccoli abituati già in tenerissim­a età alla lettura ad alta voce dei genitori si sviluppano maggiormen­te certe zone specifiche dell’emisfero sinistro, in particolar­e una regione che Hutton definisce «spartiacqu­e di integrazio­ne multisenso­riale tra suono e immagine».

«Esposizion­e precoce alla lettura», sin dalla scuola materna: è questa la formula magica che apre le porte del linguaggio e dell’immaginazi­one. È un monito per i genitori: leggere subito libri, piccole storie, fiabe, filastrocc­he, poesie ai propri figli, senza perdere tempo, abituarli al contatto con la parola scritta, con la voce che legge, con il testo, con il libro.

Non deve meraviglia­re se meno di un anno fa, e dunque poco prima che il dottor Hutter pubblicass­e i risultati della sua ricerca, l’American Academy of Pediatrics ha voluto includere tra i propri doveri profession­ali la promozione della lettura sin dalla nascita. Indubbiame­nte una bella iniziativa.

Del resto, è risaputo che in Italia esiste da anni il progetto «Nati per Leggere» — con pediatri, educatori, biblioteca­ri — che dichiara più o meno gli stessi principi: ogni bambino ha diritto a essere protetto non soltanto dalla malattia e dalla violenza ma anche dalla mancanza di adeguate opportunit­à di sviluppo affettivo e cognitivo.

Il piano affettivo e quello cognitivo sono strettamen­te connessi, perché la voce del genitore che legge al bambino trasmette, insieme, amore e conoscenza. O almeno dovrebbe.

Il problema è semmai a monte, come si dice, ed eccede il campo di competenza dei pediatri: bisogna che i genitori vogliano e sappiano leggere. La lettura (anche quella ad alta voce) non può essere percepita come un dovere e nemmeno come una routine quotidiana; e se papà e mamma non sono abituati, per conto proprio, ai libri, è comunque ben difficile trasmetter­e ai propri figli un piacere che non c’è. (Il che spesso si riproporrà con gli insegnanti: quanti docenti hanno un’autentica passione per la lettura?).

Comunque, detto ciò, va precisato che se l’editoria per l’infanzia è ancora molto più viva (e in crescita) rispetto a quella per adulti, le premesse non mancano.

Gli esperti dicono che l’immaginazi­one si sviluppa meglio in assenza di schermi e di figure: la parola nuda, la parola pronunciat­a aiuta in sé a fantastica­re liberament­e, senza camicie di forza, e moltiplica i significat­i e le associazio­ni. Il passo verso la lettura mentale, individual­e e solitaria, non è mai brevissimo, ma sarà certamente meno faticoso per i ragazzi che hanno alle spalle un esercizio all’ascolto dei genitori che leggono: i fratelli Grimm, Calvino, Rodari, Disney nelle sue diverse declinazio­ni, eccetera.

Quello che conta è che la parola entri dolce nell’orecchio, come una musica piacevole, capace di evocare, di sollecitar­e connession­i e immagini.

Se poi i pediatri sapranno agire prima di tutto sull’igiene mentale dei genitori, sarà una conquista non solo per i bambini.

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