Ora è dimostrato: le favole fanno bene
Gli scienziati americani hanno misurato gli effetti sul cervello dai 3 ai 5 anni di una favola letta a voce alta dai genitori «Impara a integrare suoni e immagini»
Ora lo sappiamo con maggiore certezza: leggere ai piccoli favorisce l’attivazione cerebrale, in particolare di quelle aree che presiedono all’elaborazione semantica e alle immagini mentali.
Si dirà che già tanti genitori, da che mondo è mondo, l’hanno intuito e sperimentato quotidianamente, ed è vero. Ma adesso un’équipe di studiosi dell’Ospedale pediatrico di Cincinnati (Ohio), guidata da John Hutton, lo dimostrerebbe in termini scientifici, avendo sottoposto un gruppo di bambini in fase prescolare, tra i3 ei 5 anni, a risonanza magnetica funzionale per valutare in che modo l’ascolto di letture adatte alla loro età riesca a incidere nell’attività cerebrale.
Ebbene, i risultati dicono che nei piccoli abituati già in tenerissima età alla lettura ad alta voce dei genitori si sviluppano maggiormente certe zone specifiche dell’emisfero sinistro, in particolare una regione che Hutton definisce «spartiacque di integrazione multisensoriale tra suono e immagine».
«Esposizione precoce alla lettura», sin dalla scuola materna: è questa la formula magica che apre le porte del linguaggio e dell’immaginazione. È un monito per i genitori: leggere subito libri, piccole storie, fiabe, filastrocche, poesie ai propri figli, senza perdere tempo, abituarli al contatto con la parola scritta, con la voce che legge, con il testo, con il libro.
Non deve meravigliare se meno di un anno fa, e dunque poco prima che il dottor Hutter pubblicasse i risultati della sua ricerca, l’American Academy of Pediatrics ha voluto includere tra i propri doveri professionali la promozione della lettura sin dalla nascita. Indubbiamente una bella iniziativa.
Del resto, è risaputo che in Italia esiste da anni il progetto «Nati per Leggere» — con pediatri, educatori, bibliotecari — che dichiara più o meno gli stessi principi: ogni bambino ha diritto a essere protetto non soltanto dalla malattia e dalla violenza ma anche dalla mancanza di adeguate opportunità di sviluppo affettivo e cognitivo.
Il piano affettivo e quello cognitivo sono strettamente connessi, perché la voce del genitore che legge al bambino trasmette, insieme, amore e conoscenza. O almeno dovrebbe.
Il problema è semmai a monte, come si dice, ed eccede il campo di competenza dei pediatri: bisogna che i genitori vogliano e sappiano leggere. La lettura (anche quella ad alta voce) non può essere percepita come un dovere e nemmeno come una routine quotidiana; e se papà e mamma non sono abituati, per conto proprio, ai libri, è comunque ben difficile trasmettere ai propri figli un piacere che non c’è. (Il che spesso si riproporrà con gli insegnanti: quanti docenti hanno un’autentica passione per la lettura?).
Comunque, detto ciò, va precisato che se l’editoria per l’infanzia è ancora molto più viva (e in crescita) rispetto a quella per adulti, le premesse non mancano.
Gli esperti dicono che l’immaginazione si sviluppa meglio in assenza di schermi e di figure: la parola nuda, la parola pronunciata aiuta in sé a fantasticare liberamente, senza camicie di forza, e moltiplica i significati e le associazioni. Il passo verso la lettura mentale, individuale e solitaria, non è mai brevissimo, ma sarà certamente meno faticoso per i ragazzi che hanno alle spalle un esercizio all’ascolto dei genitori che leggono: i fratelli Grimm, Calvino, Rodari, Disney nelle sue diverse declinazioni, eccetera.
Quello che conta è che la parola entri dolce nell’orecchio, come una musica piacevole, capace di evocare, di sollecitare connessioni e immagini.
Se poi i pediatri sapranno agire prima di tutto sull’igiene mentale dei genitori, sarà una conquista non solo per i bambini.