«Galantino un vescovo rosso? Fa ridere Le sue parole un elogio dell’alta politica»
Brunelli (Tv2000): c’è chi accusa anche il Pontefice di essere comunista, eppure cita Gesù
Lucio Brunelli, direttore del Tg di Tv2000, emittente della Cei. Le dichiarazioni di monsignor Galantino hanno colpito il mondo politico, sembra quasi un atto di sfiducia totale. La Cei è in contrapposizione con la classe dirigente italiana?
«Ma no, mi sembra una lettura superficiale e artificiosa. Tutto è iniziato da alcuni giudizi di monsignor Galantino sul dovere umano e evangelico di guardare con pietà e accoglienza al dramma dei profughi che fuggono da guerre e miseria. Parole che nascono da una esperienza sofferta, di migliaia di centri cattolici che in tutta Italia, dalla Sicilia alla Lombardia, si prodigano nell’accoglienza. Una esperienza in cui i profughi cessano di essere numeri per diventare nomi, storie, lutti vissuti, tragedie personali e familiari. Galantino ha reagito a quanti, invece di prendere atto della complessità del fenomeno e dei valori di civiltà implicati, cercano consensi “sulla pelle degli altri”. Spiacente, ma su questo non si può retrocedere. Mi fa sorridere la definizione di vescovo “rosso”. Lui che proprio in questi giorni ha rivendicato con fierezza di essere figlio di un militante Dc. Ma dicono lo stesso del Papa, quando ricorda la predilezione di Gesù per i poveri e critica una economia che piega tutto al dio denaro».
Parlare di un «harem di furbi» non può alimentare il qualunquismo, l’antipolitica?
«Focalizzando tutta e sola l’attenzione su questa frase non si rende giustizia alla riflessione di Galantino. Nella sua lunga lectio su De Gasperi al primo punto c’è il rispetto dell istituzioni, in particolare il rispetto del Parlamento che guidò l’azione dello statista cattolico. C’è anche un elogio della sua “sana laicità” che lo portò, ricorda Galantino, anche ad essere incompreso da alcuni ambienti ecclesiastici. Insomma, mi sembra che si voglia dipingere a tutti i costi un Galantino populista, anti-politico perché così è più facile non fare i conti con le sue provocazioni intellettuali. La verità è che nella suddetta lectio il vescovo fa l’elogio più alto della politica, riprendendo una definizione di Paolo VI che definiva la politica, appunto, come “la più alta forma di carità”. La politica come servizio gratuito, al bene comune.»
Perché è così cambiato il linguaggio della Cei? Dopo decenni di prudenza ora l’approccio è privo di diplomazia.
«Sicuramente c’è un cambiamento nel linguaggio. Più diretto, concreto, a volte anche “rude” come ha riconosciuto Galantino. Però non mi sembra che prevalga un intento politico ma una passione di tipo “pastorale”. Si guarda più alle anime, alle persone concrete, che al palazzo. Poi, per carità, nessuno è infallibile. La decisione di non partecipare all’evento pubblico su De Gasperi è stata una decisione di responsabilità. Mossa dal desiderio di non alimentare polemiche personalistiche e di basso livello».
Qual è il vero obiettivo di Galantino e del suo modo di esprimersi in questi giorni. Dove vuole arrivare?
«Non so. Una domanda alla quale dovrebbe rispondere il segretario della Cei. Ma sinceramente non vedo secondo fini. Per come lo conosco, credo che Galantino abbia espresso solamente quello che pensa»
Il linguaggio «Il linguaggio della Cei si è fatto a volte più rude Ma credo che prevalga la passione pastorale»