Corriere della Sera

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- DALLA NOSTRA INVIATA

medaglie d’oro più due d’argento) vinte da Usain Bolt in cinque edizioni dei Mondiali, da Osaka 2007 a Pechino 2015

Se dietro ogni grande uomo c’è una grande donna, dietro l’oro nei 400 metri del 23enne sudafrican­o Wayde Van Niekerk c’è una grande nonna. Si chiama Anna Soffia Botha, ha 74 anni. Nessuna parentela con Wayde, la più grande rivelazion­e del Mondiale fin qui: è la sua coach. « Lavoriamo insieme dall’ottobre 2012. Le devo tutto».

Wayde, questi di Pechino sono stati definiti i 400 del secolo: in tre sotto i 44’’, lei passaggio più veloce della storia ai 200 (20’’73) e quarto tempo all time (43’’48). Infatti al traguardo è collassato.

«Uno di quei momenti che solo un quattrocen­tista può capire. Ero esausto. Una vera e propria killing race. Ma fare una follia era l’unico modo per battere Lashawn Merritt, il veterano, e Kirani James, il campione. Negli ultimi 50 metri non sentivo più le gambe: ho pregato il Signore che mi facesse finire la gara. Alla fine ho sbagliato a sedermi: sarei dovuto rimanere in piedi. Mi manca un po’ di esperienza: con Anna stiamo lavorando per crescere».

Dopo l’ospedale come ha festeggiat­o lo storico oro per il Sudafrica?

«Non so a che ora sono tornato in albergo… Ho mangiato, fatto un brindisi. In squadra erano tutti così fieri di me: bellissimo!». Ci racconti qualcosa di sé. «Sono nato a Città del Capo, dove vive ancora il mio padre biologico. Con mia madre, ex sprinter di origini italiane (la nonna di cognome fa Di Pasquale), e il mio patrigno vivo a Bloemfonte­in. Ho due fratelli, Greg e Kyla: siamo una famiglia molto unita. Ho giocato a rugby e fatto salto in alto: 2,07 è il mio record personale. Ho perso peso e acquisito tecnica di corsa. Ed eccomi qui». I paragoni si sprecano. «Sono onorato di essere accostato a Johnson, Wariner, Reynolds. Sono i campioni che sentivo nominare da piccolo». Con quali idoli è cresciuto? «I genitori, per l’esempio che

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