Corriere della Sera

Netanyahu, al tavolo con Renzi il rischio Iran

Oggi la cena tra i due. Il leader israeliano e gli investimen­ti ritenuti troppo rischiosi a lungo termine

- Di Davide Frattini

BenjaminNe­tanyahu e Matteo Renzi: oggi la cena a Firenze tra il leader israeliano e il premier. Netanyahu è pronto a lanciare l’allarme nei confronto del regime iraniano e intende ripetere l’avvertimen­to già passato a Renzi durante il viaggio a Gerusalemm­e a luglio: le aziende italiane non corrano a firmare contratti con Teheran, il rischio è perdere gli investimen­ti. Il successore di Obama alla presidenza potrebbe decidere di imporre di nuovo l’embargo economico, il patto con il regime — fanno notare i consiglier­i di Netanyahu — non piace al 60 per cento degli americani. «Renzi è un alleato chiave nella lotta tra le forze del progresso e quelle del buio».

Il padre Benzion è stato per anni il segretario di Zeev Jabotinsky e dall’ideologo della destra sionista ha imparato a rigettare le interferen­ze straniere, una diffidenza che ha educ a to an cheil giovane Netanyahu e che sembra ammorbidir­si solo quando il premier israeliano arriva in Italia, dove ha visitato l’Expo di Milano e dove questa sera incontra Matteo Renzi nella sua Firenze.

Benzion Netanyahu, scomparso nel 2012 a 102 anni, ha anche studiato per tutta la vita l’accaniment­o dell’Inquisizio­ne spagnola contro gli ebrei e quelli che vengono chiamati i Secoli Bui del Medio Evo. Una tenebra che il figlio, al quarto mandato da primo ministro, vede ritornare. Nella sua analisi sta già velando parte del mondo, porta un nome (islam radicale) e i colori di due bandiere: quelle nere dello Stato Islamico e quella oscurantis­ta del regime iraniano.

Bibi – come lo chiamano tutti gli israeliani – ha ereditato dal padre la visione pessimista della Storia e l’ostinazion­e di chi si ritrova (o si sente) solo nelle sue battaglie. Come quando Benzion curava il giardino di casa a Gerusalemm­e e chiedeva al figlio di aiutarlo: innaffiare, concimare, estirpare le erbacce. E di nuovo: innaffiare, concimare, estirpare le erbacce. Una fatica che al bambino sembrava senza senso, la gramigna continuava a ricrescere, allora il padre gli spiegò l’importanza della tenacia contro le malepiante, «altrimenti infesteran­no tutto».

Il ricordo accompagna il leader israeliano nella visita a uno dei giardini che ammira di più per la sua bellezza, l’Italia, e che considera minacciato dalle «erbacce» quanto Israele: per lui è il momento di agire, l’Occidente deve intervenir­e, inviare le truppe, le guerre israeliane gli hanno insegnato che i bombardame­nti – come quelli contro lo Stato Islamico in Siria e in Iraq – non bastano. «Renzi è un alleato chiave – dice – nella lotta tra le forze del progresso e quelle del buio che vogliono riportarci indietro».

Scruta il pericolo più grande nell’ideologia degli ayatollah. Che – ribadirà al primo ministro italiano – vogliono dominare il mondo, «ingoiare e divorare» ha proclamato davanti al Congresso americano. L’intesa sul nucleare con le potenze occidental­i avrebbe solo accresciut­o l’appetito egemonico perché cancellare le sanzioni economiche – ripete il premier ovunque vada – permetterà a Teheran di sponsorizz­are la sua strategia espansioni­sta. A partire dal Medio Oriente dove ormai sta intervenen­do con i consiglier­i militari e le forze speciali dalla Siria alla Libia.

Nell’incontro a Palazzo Vecchio il premier israeliano intende ripetere l’avvertimen­to già passato a Renzi durante il viaggio a Gerusalemm­e alla fine di luglio: le aziende italiane non corrano a firmare contratti in Iran, il rischio è perdere gli investimen­ti. Il successore di Barack Obama alla presidenza può decidere di imporre di nuovo l’embargo economico, il patto con il regime – fanno notare i consiglier­i di Netanyahu – non piace al 60 per cento degli americani.

Il premier che tiene sul comodino le Memorie di Winston Churchill scopre di avere alleati tra i Paesi senza relazioni diplomatic­he ufficiali con Israele: l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo preoccupat­e quanto lui dall’avanzata iraniana. Nuovi contatti che potrebbero portare anche a una svolta nei negoziati con i palestines­i, ormai congelati da un anno e mezzo. Il governo israeliano starebbe rivedendo «l’iniziativa saudita» del 2002, la possibilit­à di un’intesa che porti al riconoscim­ento dello Stato ebraico nella regione in cambio della pace con i palestines­i.

Netanyahu non nasconde la sua diffidenza verso Abu Mazen, è convinto che le trattative potrebbero ripartire solo se il presidente palestines­e venisse forzato dai leader arabi. Lo schema europeo e americano – almeno secondo questo governo israeliano – non funziona più, rappresent­a la mentalità (e le speranze) del passato: è disegnato attorno agli accordi di Oslo con le definizion­i delle frontiere, il ritiro dalla Cisgiordan­ia dell’esercito israeliano, l’evacuazion­e delle colonie ebraiche. Netanyahu – e gli israeliani che l’hanno votato ancora una volta lo scorso marzo – sono irrigiditi nelle loro posizioni intransige­nti dai vent’anni passati da quella stretta di mano tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat. Il ritiro dalla Striscia di Gaza è diventato per la destra il simbolo degli errori da non ripetere: ha permesso l’ascesa dei fondamenta­listi di Hamas e avrebbe offerto all’Iran una base d’attacco sul fronte sud.

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Il premier israeliano Netanyahu
 ?? (Niccolò Cambi) ?? Turisti Benjamin Netanyahu durante la visita a Forte Belvedere con la moglie Sara e l’imprendito­re Marco Carrai (tra le statue della mostra «Human» di Antony Gormley). Il primo ministro, scortato da più di 20 auto della sicurezza, ha visitato la Galleria dell’Accademia e fatto tappa agli Uffizi
(Niccolò Cambi) Turisti Benjamin Netanyahu durante la visita a Forte Belvedere con la moglie Sara e l’imprendito­re Marco Carrai (tra le statue della mostra «Human» di Antony Gormley). Il primo ministro, scortato da più di 20 auto della sicurezza, ha visitato la Galleria dell’Accademia e fatto tappa agli Uffizi
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