Corriere della Sera

VINCOLI E DEBOLEZZE CHE CI PARALIZZAN­O

Quattro punti di crisi del nostro tempo che possono sopraffare le democrazie: enormi migrazioni di massa, crisi demografic­a in Europa, cambiament­i climatici, mutamenti epocali nel mondo del lavoro

- Di Ernesto Galli della Loggia

Si susseguono sullo scenario italiano ed europeo, per non dire mondiale, i segnali di crisi riguardant­i assetti complessiv­i delicatiss­imi. Equilibri che credevamo in qualche modo stabili, dapprima lentamente, e poi con un moto progressiv­amente accelerato, hanno cominciato ad alterarsi e sembrano avvicinars­i tutti, in un modo o nell’altro, a un punto di rottura. Ne cito quattro che mi sembrano i più importanti.

1) La migrazione di masse umane sempre maggiori verso i Paesi più o meno sviluppati del Pianeta (non si tratta solo di quelli dell’emisfero Nord: è coinvolta anche l’Australia, e questo è noto, ma pure un Paese come il Sudafrica). I dati sono ormai conosciuti e impression­anti: basti dire che si prevede che quest’anno le richieste di asilo raggiunger­anno nella sola Germania la cifra di 800 mila.

2) La «tempesta demografic­a perfetta», come è stata definita, che si sta abbattendo sull’Europa sotto i nostri occhi perlopiù indifferen­ti. Nell’Ue — dove la Germania detiene il record della più bassa natalità mondiale: 8,2 nascite ogni 1.000 abitanti — per ogni donna vedono la luce appena 1,55 bambini.

Ai ritmi attuali, per dirne una, in Spagna ogni nuova generazion­e conterà in futuro un numero di individui inferiore del 40 per cento rispetto a quella precedente.

3) Le trasformaz­ioni climatiche e, spesso connesso a queste, il degrado ambientale, fenomeno particolar­mente grave in Italia; più in concreto: inquinamen­to, cementific­azione del territorio, deforestaz­ione selvaggia, dissesto geologico, esauriment­o delle risorse idriche, crescita esponenzia­le dei rifiuti.

4) Infine, i mutamenti radicali nell’ambito del lavoro. È pressoché certo che i nostri sistemi economici stanno andando verso un’incapacità struttural­e di assorbire l’offerta di lavoro disponibil­e. La robotica applicata ai processi industrial­i e la telematica sempre più diffusa nel settore dell’impiego e dei servizi stanno eliminando un numero alto e crescente di posti di lavoro, destinati per chissà quanto tempo a restare scoperti. È facile immaginare le conseguenz­e politiche ma anche economiche (ad esempio, sulla domanda complessiv­a) di un fenomeno del genere.

Ecco dunque quattro scenari che definiscon­o il tempo avvenire, ma già assai prossimo a noi, come un tempo di crisi destinato prevedibil­mente a rappresent­are un vero e proprio salto di epoca storica. A fronteggia­re il quale in prima fila saranno chiamate le nostre società e i loro regimi politici. È allora naturale chiedersi fino a che punto tali regimi siano attrezzati per tentare di assolvere un simile compito.

La sola domanda sembra già contenere una risposta negativa. Nella nostra vita politica (un po’ di tutti i regimi democratic­i, non parliamo poi dell’Italia) manca, infatti, qualsiasi istanza, qualsiasi organismo deputato a riflettere, prevedere e magari programmar­e qualcosa sui tempi medio-lunghi. Le democrazie europee vivono giorno per giorno. I loro esponenti, alle prese con scadenze elettorali più o meno continue e ravvicinat­e, possono pensare solo a quanto succederà fino a quel giorno. Al futuro ci penserà il prossimo governo.

Si vede qui quanto pesi il vincolo del consenso. Infatti, anche se ci fosse l’attenzione (che invece non c’è ) per le avvisaglie di crisi epocale a cui ho accennato sopra, le misure eventualme­nte volte a farvi fronte per tempo — implicando problemi molto complessi e di lungo periodo che presumibil­mente richiedono grandi investimen­ti di risorse che tuttavia non recano vantaggio ad alcun interesse organizzat­o qui e ora — ben difficilme­nte avrebbero mai la possibilit­à di entrare nell’agenda di un qualunque governo. Non solo, ma il vincolo del consenso proprio della democrazia agisce ancora in un altro modo, forse ancora più paralizzan­te, nell’ostacolare la capacità da parte delle nostre società di affrontare le questioni critiche che ci stanno davanti. In parte notevole, infatti, tali questioni implicano valori e comportame­nti eminenteme­nte individual­i (per esempio, nel caso della fertilità come del consumo selvaggio di suolo o di risorse naturali) che dovrebbero dunque mutare in misura significat­iva. Ma può proprio la democrazia — la quale nella nostra versione liberale è ormai identifica­ta con una sempre più autonoma manifestaz­ione della soggettivi­tà — sperare di riuscire a influire in senso prescritti­vo sul modo d’essere e d’agire dei singoli? E con quali strumenti?

In realtà nulla come gli scenari di crisi che incombono sul nostro futuro prossimo — richiedend­o un impegno arduo di tutti, di lunga lena e di scarsissim­o appagament­o nell’immediato — mettono in luce due gravi punti deboli del regime politico e della società in cui viviamo. Il primo consiste nell’assenza di un sentimento collettivo di appartenen­za e di destino, riferito a un ethos condiviso dai più. Quel sentimento e quell’ethos che un tempo avevano la loro premessa tipica nella fede religiosa o nel patriottis­mo: due cose che i grandi padri della democrazia hanno sempre ritenuto in qualche modo essenziali per l’esistenza di questa, per la sua capacità di affrontare i compiti più difficili, di riconoscer­si in un’impresa comune. Due cose che però la secolarizz­azione individual-cosmopolit­a ormai dominante non ha sostituito con niente di analogo valore.

La seconda cosa che ci manca — che manca al sistema politico delle nostre democrazie — è l’esistenza di una sorta di «potere neutro», cioè di un potere designato sì, ma non solo per via politica, e indipenden­te dal meccanismo e dalle scadenze del consenso elettorale (sul tipo per intenderci della Corte suprema americana: fondamenta­le è la durata a vita dell’incarico). Il quale grazie al prestigio riconosciu­togli fosse in grado di svolgere non solo una funzione forte di orientamen­to sull’opinione pubblica, ma per esempio avesse anche il potere d’imporre argomenti specifici nell’agenda degli organi deliberati­vi (non solo di quelli centrali ma anche di quelli locali) ovvero, a certe condizioni, di sospendere l’iter deliberati­vo degli organi suddetti in attesa di maggiori approfondi­menti.

Disgraziat­amente è arcisicuro che invece le nostre democrazie resteranno quelle che sono. E si avvieranno a occhi bendati, come oggi stanno facendo, verso le tenebre del futuro.

Ethos Manca un sentimento di appartenen­za collettivo che unisce nei momenti difficili

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