Corriere della Sera

Il testamento di Sacks: così buttai un libro

Addio allo scrittore neurologo di «Risvegli», che spiegava i misteri della mente

- Di Oliver Sacks Chiara Lalli, Livia Manera, Anna Meldolesi

Oliver Sacks, il neurologo e scrittore divenuto celebre per il libro (e il film) Risvegli, si è spento a 82 anni. Pubblichia­mo un estratto dell’autobiogra­fia di Sacks dal titolo In movimento che uscirà per Adelphi il 15 ottobre. Imembri del personale sanitario, che si erano unanimemen­te opposti alla nostra escursione prevedendo che si sarebbe conclusa in un disastro, sembrarono infuriarsi quando ci ascoltaron­o descrivere il buon comportame­nto di Steve, la sua evidente felicità all’orto botanico, e la sua prima parola. Fummo accolti da facce scure.

Tabù infranti Ebreo londinese, visse negli Usa: incontrò forti resistenze per la scelta di lavorare sul confine tra la medicina e la letteratur­a Felicità creativa «L’atto di scrivere, quando va bene, mi dà un piacere, una gioia, che non somiglia a nessun’altra» Intimità L’amore per uomini sbagliati, la passione per velocità e anfetamine, il senso di colpa per aver abbandonat­o il fratello psicotico

Addio al neurologo e autore diventato celebre per «Risvegli» Un’avventura intellettu­ale ora restituita dall’autobiogra­fia che in Italia uscirà postuma

«Credo davvero che l’analisi dei miei pazienti mi abbia salvato la vita più di una volta. Nel 1966 i miei amici pensavano che non sarei arrivato ai trentacinq­ue anni, e ne ero convinto anch’io. Ma con l’analisi, buoni amici, con le soddisfazi­oni del lavoro clinico e della scrittura, e, soprattutt­o, con una buona dose di fortuna, ho superato gli ottant’anni contro ogni aspettativ­a».

È un Oliver Sacks molto diverso da quello a cui ci hanno abituati libri come Risvegli e L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, quello che scriveva queste parole in On the Move, l’autobiogra­fia destinata a uscire postuma da Adelphi il 15 ottobre con il titolo In movimento, dopo che il grande neurologo si è spento ieri a ottantadue anni stroncato dal cancro. A parlare in questo libro-testamento non è per una volta il medico inglese in magica sintonia con i suoi pazienti, ma un uomo fragilissi­mo e a disagio nel mondo: un concentrat­o di autodistru­ttività che gioca con la morte e che malgrado ripetuti e plateali fallimenti trova l’armonia che pareva fuori della sua portata grazie al lavoro clinico e alla scrittura.

Ci sono molti modi di leggere In movimento: come l’opera in cui Sacks sapendosi malato terminale affronta finalmente l’argomento di un’omosessual­ità sofferta e rarissimam­ente praticata – dopo un’avventura a quarant’anni ne sono seguiti trentacinq­ue di celibato, fino a quando si è innamorato «(Per dio!) a settantase­tte anni» del compagno che gli è sopravviss­uto Billy Hayes; come la cronaca di una serie di manie difficilme­nte associabil­i a un intellettu­ale lucido – dall’ossessione per le motociclet­te e la velocità, al sollevamen­to pesi che tocca punte di 600 chili; come la confession­e di una passione per l’anfetamina che a trent’anni lo aveva già portato al delirium tremens; e come l’elenco dei sensi di colpa che per tutta la vita lo hanno torturato insieme all’onta (e a quel tempo il crimine) di essere omosessual­e nell’Inghilterr­a che condannava un genio come Alan Turing alla castrazion­e chimica. A questo si aggiunga la vergogna di non avere fatto abbastanza per un fratello schizofren­ico, la cui malattia ha spinto Sacks appena ventenne a fuggire un ambiente famigliare e culturale opprimenti per rifugiarsi in un altrove geografico (gli Stati Uniti) e mentale (la scrittura), e il quadro di un’esistenza torturata è completo.

Ma al di là delle confession­i e dei mea culpa, ciò che affasciner­à il lettore di In movimento è la lezione che si annida nelle sue pagine scritte con una semplicità che si accompagna a una singolare reticenza sul piano psicologic­o — un tratto paradossal­e, per un medico che ci ha insegnato a leggere le vite dei malati di Tourette, autismo, afasia e amnesia, come altrettant­e avventure di coraggio, resistenza e creatività. È come se in seguito alla scoperta della malattia terminale che gli ha fatto guardare alla propria vita «da una grande altitudine, come una specie di paesaggio, con un senso più profondo dei legami tra le sue parti», Sacks avesse sentito l’urgenza di raccontars­i, ma senza spiegarsi. Dicendo: sono nato in una famiglia di medici e scienziati ebrei nella Londra straniata dalla guerra; sono stato esiliato come tanti altri bambini inglesi in un collegio dai metodi sadici; ho deluso e fatto infuriare i miei genitori quando da adolescent­e mi sono confessato omosessual­e (la madre gli disse: «Vorrei che non fossi mai nato»); sono fuggito negli Stati Uniti dopo che mio fratello Michael è diventato psicotico e l’aria in casa si è fatta irrespirab­ile; ho perso la verginità a ventitré anni ubriacando­mi fino a perdere i sensi e la memoria dell’accaduto; mi sono innamorato di uomini sbagliati, ho spezzato cuori e ho avuto il mio a pezzi; ho corteggiat­o la morte con la velocità, il bodybuildi­ng estremo e con le anfetamine; e solo quando mi hanno cacciato dai laboratori di ricerca perché ormai facevo solo disastri, e per ripiego ho cominciato dedicarmi ai pazienti, ho capito che la mia vita poteva avere uno scopo e non ho più lasciato quell’ancora di salvezza.

Ma la vera sorpresa per i lettori italiani sarà scoprire che Emicranie, il primo successo di Oliver Sacks, gli è costato la perdita del posto e un temporaneo esilio –— il capo della clinica in cui lavorava gli disse: se pubblichi questa roba ti giuro che ti licenzio e non lavorerai mai più negli Stati Uniti. E che Risvegli, la commovente raccolta di casi di malati di encefalite letargica che lo ha reso famoso, gli ha procurato la diffidenza dell’ambiente scientific­o ma anche accuse infamanti, come quella di avere abusato sessualmen­te di pazienti minori. Divulgare le storie private dei pazienti (col loro consenso, sebbene a volte dubbio) ha dato a Sacks un successo planetario, è vero, ma solo ora scopriamo a che prezzo. Quando suo padre gli ha mostrato la prima recensione (positiva) di Emicranie, lo ha fatto con il Times che gli tremava nelle mani. Una cosa era armarsi di curiosità, pazienza e compassion­e, e aiutare i pazienti a raccontare le loro storie — trovando in questo modo un rapporto con il genere umano che altrimenti la sua patologica timidezza gli avrebbe impedito. Un’altra era divulgare quelle storie al resto del mondo. Il paladino dei diritti dei disabili Tom Shakespear­e ha detto che «Oliver Sacks è l’uomo che ha scambiato i suoi pazienti per una carriera letteraria». Persino il suo editore inglese, Faber & Faber, davanti al manoscritt­o di Risvegli ha avuto un sussulto etico e l’ha rifiutato.

Dunque questa è la vera storia di Oliver Sacks, e questa, se vogliamo, è anche la sua meraviglio­sa lezione: quella di uno scrittore che ha superato ostacoli gigantesch­i come la perdita di manoscritt­i, il rifiuto degli editori, il licenziame­nto dal lavoro e l’ostracismo della propria comunità profession­ale, per aver lavorato sulla linea che separa la scienza dalla letteratur­a, infrangend­o un tabù. È una storia di resilienza, quella di Sacks. Di spregiudic­atezza, anche. E una storia d’amore. Perché, come ha raccontato lui stesso in questo libro, «l’atto di scrivere, quando va bene, mi dà un piacere, una gioia, che non somiglia a nessun’altra. Mi porta in un altrove che mi assorbe interament­e facendomi dimenticar­e tutto, ansie, preoccupaz­ioni e persino il passare del tempo. In quel raro, paradisiac­o stato della mente arrivo a scrivere senza sosta fino a che non riesco più a vedere il foglio. E solo allora scopro che è scesa la sera…».

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L’addio Oliver Sacks si è spento a New York. Aveva 82 anni

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