Corriere della Sera

La nipote di Tito e il caos a Est: stanno ricostruen­do i muri come nei Balcani degli anni 90

- Francesco Battistini

dal nostro inviato

BELGRADO «Ci sono Paesi dell’Ue che vivono adesso quel che noi balcanici abbiamo già passato negli anni 90. Il nazionalis­mo, i muri, la paura di chi c’inquina. L’Ungheria, la Bulgaria si comportano come all’epoca dei ponti levatoi. Proprio loro che hanno sofferto sulla loro pelle l’emigrazion­e: non negano il diritto d’asilo, negano perfino quello d’attraversa­mento. Disgustoso».

Nella sua casa d’esule volontaria, da quando voltò le spalle alla Belgrado dei carnefici e andò a vivere nella Bosnia delle vittime, a 60 anni Svetlana Broz non s’è ancora abituata a chi soffre. Ha piantato un suo Giardino dei Giusti, fa da coscienza critica in terre che un esame di coscienza non l’hanno mai fatto. E con un cognome che contava, di suo nonno Tito, fa i conti d’una memoria da rivisitare: «Quand’ero ragazza in Jugoslavia, io mi chiedevo perché non ci fosse libertà. Mi ribellavo a Tito. Aspettavo il cambiament­o. Poi il nuovo è arrivato e ho visto che faccia aveva: nazionalis­ti folli che ci hanno distrutto. Sono ancora qui a combattere chi cancella i diritti più elementari. D’un balcanico come d’un siriano».

Sono tornati anche qui gli echi delle guerre. Con quali rischi?

«Se i profughi resteranno, visto che l’Ungheria non li fa passare, a lungo termine ci saranno problemi seri. Però potrebbe esserci un aspetto positivo: in quest’area ci sono governi che non si parlano da anni, la crisi umanitaria potrebbe costringer­li a farlo».

Si ribaltano molti luoghi comuni, i serbi stanno dando un esempio d’accoglienz­a: mentre Budapest alza i muri, a Belgrado ieri hanno messo wi-fi nei centri profughi...

«La differenza dall’Ungheria o dall’Italia è che Paesi come la Serbia e la Macedonia vogliono entrare nell’Ue. E quindi si sforzano di passare per i buoni della situazione: accettano perfino i musulmani!... Questo servirà a compiacere Bruxelles, dove invece d’intervenir­e sulle cause (le guerre) si tamponano le conseguenz­e (i profughi). Ma crede che tutto ciò faccia capire davvero ai serbi come vive un rifugiato? O quel che han passato milioni di bosniaci e kosovari? Ne dubito. È più facile aiutare un siriano che il tuo vicino. Il premier Vucic va al memoriale di Srebrenica, ma ai tempi era il portavoce dei nazionalis­ti dello Seselj processato all’Aja. Qui si sta facendo solo maquillage...».

Lei vive in Bosnia, dove abbondano i jihadisti. Teme l’arrivo di fanatici?

«Non subito. Attraversa­re i confini della Bosnia è complicato, ci sono monti e fiumi: per un terrorista è pericoloso prendere un gommone, fare a piedi i Balcani... Ha mezzi più rapidi.

Certo, se i profughi restano a lungo in Serbia, c’è il rischio che qualcuno venga reclutato».

Questi migranti possono diventare un’arma di pressione sull’Ue? Dateci quel che chiediamo o ve ne spediamo milioni...

«Non penso che i governi di Belgrado, di Podgorica o di Skopje siano capaci di tanta raffinatez­za. Sono piccoli giocatori d’un gioco enorme. Queste cose le faceva Gheddafi, ma lui era uno statista».

Suo nonno era famoso per la capacità di dialogare coi leader mediorient­ali...

«Credo che una via l’avrebbe trovata. Sono questioni enormi, servono visioni strategich­e. Ma per questi politici, europei o balcanici, il futuro è solo nel sondaggio di domani».

Tanti profughi rimpiangon­o i Saddam e i Mubarak. Sembra di sentire gli jugonostal­gici: ah, quando c’era Tito...

«È vero. Alla mia età ho capito che combattere per la libertà è giusto, ma la democrazia devi sapere bene come funziona. Altrimenti, il salto è nel caos».

Se i profughi resteranno, visto che l’Ungheria non li fa passare, a lungo termine ci saranno problemi seri

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