Corriere della Sera

La lunga traccia dei desapareci­dos attraversa 88 Paesi del mondo

Dal Messico all’Asia: c’è una lista Onu delle persone di cui le famiglie attendono il ritorno

- @mikele_farina 1 2 3 Michele Farina © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ha detto che usciva con un vecchio amico. Non è più tornato. Era la sera del 24 gennaio 2010. Prageeth Eknaligoda, vignettist­a e oppositore politico, Sri Lanka. Di lui si parla al presente. Sarà così finché non si farà vivo, o troveranno il corpo. Per la famiglia, gli amici, la speranza è una specie di tortura.

C’è un’ufficio all’Onu, nel Consiglio per i Diritti Umani, che cerca di tenere una lista aggiornata di quelli come Prageeth: 43.250 persone di cui è stata denunciata la scomparsa in 88 Paesi del mondo. L’Asia è il continente più rappresent­ato. Lo Sri Lanka, uscito da una sanguinosa guerra civile, è al primo posto con 5.676 casi; la Cina è a quota 30; la Nord Corea, una delle dittature più dure, solo 20. E questo spiega perché la lista Onu sia parziale. Viene naturale, nell’Internatio­nal Day of the Disappeare­d che si è celebrato ieri, pensare che di molti scomparsi sia scomparsa anche la traccia, il filo della denuncia, una campagna per tener vivo il ricordo come è accaduto invece per mesi alle ragazze di Chibok in Nigeria.

È l’altra faccia (sporca) del principio dell’«Habeas Corpus» (a 800 anni dalla Magna Charta), la forma di eliminazio­ne tuttora più amata da certi regimi: «Dite che l’abbiamo ammazzato? E allora fuori le prove, mostrateci il corpo». Anche del vignettist­a Eknaligoda dicevano che fosse «riapparso» a Parigi. Amnesty Internatio­nal riporta la storia di Ebrima Manneh, giornalist­a arrestato in Gambia nel 2008 e poi «svanito»: le autorità di Banjul giurano che nelle patrie prigioni non c’è, secondo Amnesty potrebbe essere detenuto nella stazione di polizia di Fatoto. Quello degli «scomparsi» è un fiume che si ingrossa con discrezion­e, goccia per goccia, nome per nome: in Bosnia a due decenni dalla fine del conflitto resta sconosciut­a la sorte di oltre 8 mila persone. I droni possono mappare i tesori minacciati dall’Isis. Ma non c’è occhio così potente da rilevare in tempo reale le fosse comuni in Siria, o stabilire che fine hanno fatto gli oppositori «inghiottit­i» dalle miniere di sale del Turkmenist­an.

La verità affiora dopo, in differita. E stato così per i desapareci­dos dell’Argentina, le 20-30 mila persone fatte sparire dal regime militare di Buenos Aires dal 1976 al 1983. La loro sorte è diventata verbo universale. Non è un caso che in America Latina si è cominciata a celebrare (nel 1998) la Giornata Mondiale del 30 agosto (da un gruppo con base in Costa Rica). Salvador e Guatemala contano decine di migliaia di persone fatte sparire dai «maghi» delle dittature. Ed è in Messico, dove nella «guerra sporca» degli anni Sessanta prese piede la definizion­e di desapareci­dos, che il fenomeno mantiene devastante rilevanza. Il governo denuncia 25 mila sparizioni, senza contare che anche gli apparati di sicurezza hanno i loro scheletri (fantasmi) nell’armadio. Nel settembre di un anno fa a Iguala scomparver­o 43 studenti. È probabile che siano stati uccisi dai narcos (complice un sindaco). Avevano dai 17 ai 21 anni. I killer avrebbero impiegato 14 ore per bruciare quei futuri insegnanti e disperderl­i in un canale. Ma finché non si troveranno i corpi, sono fantasmi a cui rendere onore.

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I parenti delle studentess­e di Chibok rapite dai militanti di Boko Haram, in...
Un corteo lungo le strade di Città del Messico con i cartelli che chiedono la verità sulla sorte dei 43 studenti del college per insegnanti di Ayotzinapa, lo scorso 26 agosto I parenti delle studentess­e di Chibok rapite dai militanti di Boko Haram, in...
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