Una replica della strategia degli ostaggi
Più ne parliamo e più loro distruggeranno. Anche se è impossibile non raccontare quello che avviene o ignorarlo. Lo Stato Islamico, prendendosela con i siti archeologici come quello di Palmira, ripete lo schema messo a punto con gli ostaggi occidentali. Allora usavano le vite di innocenti, sgozzati quasi in diretta, consapevoli della grande attenzione che il delitto avrebbe acceso da Parigi a Sydney. Oggi si «rifanno» minando templi antichissimi, dal valore inestimabile. Poi aspettano gli effetti, estesi, globali. Con le parole di condanna, legittime, ma che riempiono di soddisfazione i nuovi barbari. Quasi un premio (involontario) alle devastazioni condotte dal deserto della Siria fino in Mesopotamia. E non è tutto. I pezzi antichi sono demoliti ma anche trafugati. Riducono in briciole quel che non si può spostare, vendono quanto si può commerciare a peso d’oro. Sfregio e autofinanziamento ben documentati da molte inchieste. Il dolore per lo scempio, l’orrore per i prigionieri assassinati nei mesi scorsi, non deve poi farci dimenticare che nel frattempo l’Isis ha liquidato migliaia di civili senza nome. Siriani, iracheni, curdi, libici falciati senza pietà. Hanno fatto una brutta fine anche molti sudditi del Califfo condannati a morte perché accusati di tradimento sulla base di un semplice sospetto o ritenuti dei potenziali oppositori. Di pochi conosciamo le storie. Finiscono in un interminabile elenco che non può restare in secondo piano solo perché i mujaheddin neri si sono accaniti sui preziosi simboli della civiltà.