Corriere della Sera

LO SFORZO PER RIMEDIARE AL COLLASSO DELLA GIUSTIZIA

- di Stefano Nespor Avvocato e giornalist­a

Caro direttore, Sabino Cassese nell’articolo sul Corriere del 25 agosto e Armando Spataro sul Corriere del 27 agosto hanno espresso opinioni divergenti sul tema della giustizia in Italia, soprattutt­o sul ruolo e le responsabi­lità dei magistrati.

Mi soffermo su due dei punti trattati. Non siamo in presenza di semplici disfunzion­i della giustizia (vere secondo Cassese o presunte secondo Spataro). Siamo in presenza di un collasso dell’intero sistema giudiziari­o (mi riferisco alla sola giustizia ordinaria). Per rendersene conto bastano le migliaia di sentenze emesse dalla Corte europea per i diritti umani e, dal 2001, anche dai giudici nazionali con le quali lo Stato italiano viene condannato a risarcire i danni provocati dall’eccessiva durata dei processi penali, civili e tributari, in violazione della Convenzion­e europea sui diritti dell’uomo e della Costituzio­ne. Nessun Paese europeo è paragonabi­le all’Italia.

Nella giustizia penale la durata dei processi è incomparab­ilmente più lunga di quella degli altri Paesi europei. Migliaia di processi per di più si prescrivon­o (ed è quindi, ogni volta, la dichiarazi­one di un fallimento dello Stato). Si vogliono allungare i tempi di prescrizio­ne. Ma è fondato il timore che in questo modo si possano ulteriorme­nte protrarre i tempi durante i quali taluno resta imputato in attesa di processo o magari anche condannato in primo grado in attesa del giudizio di appello.

La giustizia civile è, se possibile, in condizioni ancor peggiori. Anche qui la smisurata durata dei processi è provocata prima da leggi pessime. Ma siamo sicuri che la maggior parte dei giudici faccia il possibile per evitare questo vergognoso disastro? Teniamo presente che il numero di magistrati togati nel nostro Paese è tra i più alti d’Europa, mentre è in linea con standard europei la spesa per la giustizia. Se, come Spataro afferma, «la magistratu­ra italiana è tra le più produttive d’Europa» dobbiamo scoprire le cause di un dissesto che, come osserva Cassese, determina

una fuga dalla giustizia. Ma ben più grave è il gravissimo danno per l’immagine e la competitiv­ità del nostro Paese.

Osserva Cassese che «la criminalit­à organizzat­a si è diffusa in vaste aree del territorio nazionale» e suggerisce di «fare un’analisi sulla preparazio­ne di chi dirige le investigaz­ioni, comprese le forze di polizia». Spataro ribatte che «la magistratu­ra italiana… è leader mondiale nel contrasto efficace di ogni forma di criminalit­à organizzat­a».

Tuttavia, da Roma in giù la criminalit­à organizzat­a, nelle sue varie forme e espression­i, non solo è diffusa ovunque, ma cogestisce con lo Stato le attività produttive con un imponente giro di affari. La responsabi­lità delle forze politiche nazionali e locali che si sono succedute è palese ed è fuori discussion­e. Ma è possibile che neppure la magistratu­ra e le forze di polizia, pur così efficienti, non si siano accorte di nulla e comunque non siano in grado di porre rimedio a questo stato di cose? Non è un discorso leghista. Tutt’altro. Se il Sud d’Italia è in queste condizioni la responsabi­lità è dei governi che lo hanno metodicame­nte depredato e poi hanno operato scelte in modo da favorire lo sviluppo del Nord (salvo le ridottissi­me erogazioni attuate con la Cassa del mezzogiorn­o). Proprio per questo, lo sforzo che ora lo Stato sta compiendo per contrastar­e la criminalit­à organizzat­a (al Sud e al Nord) è apprezzabi­le ma gravemente insufficie­nte. Se siamo i migliori e i più bravi nel contrastar­e la criminalit­à organizzat­a, forse la nostra criminalit­à organizzat­a è tale che si deve fare ancora di più e ancora meglio.

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