LO SFORZO PER RIMEDIARE AL COLLASSO DELLA GIUSTIZIA
Caro direttore, Sabino Cassese nell’articolo sul Corriere del 25 agosto e Armando Spataro sul Corriere del 27 agosto hanno espresso opinioni divergenti sul tema della giustizia in Italia, soprattutto sul ruolo e le responsabilità dei magistrati.
Mi soffermo su due dei punti trattati. Non siamo in presenza di semplici disfunzioni della giustizia (vere secondo Cassese o presunte secondo Spataro). Siamo in presenza di un collasso dell’intero sistema giudiziario (mi riferisco alla sola giustizia ordinaria). Per rendersene conto bastano le migliaia di sentenze emesse dalla Corte europea per i diritti umani e, dal 2001, anche dai giudici nazionali con le quali lo Stato italiano viene condannato a risarcire i danni provocati dall’eccessiva durata dei processi penali, civili e tributari, in violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e della Costituzione. Nessun Paese europeo è paragonabile all’Italia.
Nella giustizia penale la durata dei processi è incomparabilmente più lunga di quella degli altri Paesi europei. Migliaia di processi per di più si prescrivono (ed è quindi, ogni volta, la dichiarazione di un fallimento dello Stato). Si vogliono allungare i tempi di prescrizione. Ma è fondato il timore che in questo modo si possano ulteriormente protrarre i tempi durante i quali taluno resta imputato in attesa di processo o magari anche condannato in primo grado in attesa del giudizio di appello.
La giustizia civile è, se possibile, in condizioni ancor peggiori. Anche qui la smisurata durata dei processi è provocata prima da leggi pessime. Ma siamo sicuri che la maggior parte dei giudici faccia il possibile per evitare questo vergognoso disastro? Teniamo presente che il numero di magistrati togati nel nostro Paese è tra i più alti d’Europa, mentre è in linea con standard europei la spesa per la giustizia. Se, come Spataro afferma, «la magistratura italiana è tra le più produttive d’Europa» dobbiamo scoprire le cause di un dissesto che, come osserva Cassese, determina
una fuga dalla giustizia. Ma ben più grave è il gravissimo danno per l’immagine e la competitività del nostro Paese.
Osserva Cassese che «la criminalità organizzata si è diffusa in vaste aree del territorio nazionale» e suggerisce di «fare un’analisi sulla preparazione di chi dirige le investigazioni, comprese le forze di polizia». Spataro ribatte che «la magistratura italiana… è leader mondiale nel contrasto efficace di ogni forma di criminalità organizzata».
Tuttavia, da Roma in giù la criminalità organizzata, nelle sue varie forme e espressioni, non solo è diffusa ovunque, ma cogestisce con lo Stato le attività produttive con un imponente giro di affari. La responsabilità delle forze politiche nazionali e locali che si sono succedute è palese ed è fuori discussione. Ma è possibile che neppure la magistratura e le forze di polizia, pur così efficienti, non si siano accorte di nulla e comunque non siano in grado di porre rimedio a questo stato di cose? Non è un discorso leghista. Tutt’altro. Se il Sud d’Italia è in queste condizioni la responsabilità è dei governi che lo hanno metodicamente depredato e poi hanno operato scelte in modo da favorire lo sviluppo del Nord (salvo le ridottissime erogazioni attuate con la Cassa del mezzogiorno). Proprio per questo, lo sforzo che ora lo Stato sta compiendo per contrastare la criminalità organizzata (al Sud e al Nord) è apprezzabile ma gravemente insufficiente. Se siamo i migliori e i più bravi nel contrastare la criminalità organizzata, forse la nostra criminalità organizzata è tale che si deve fare ancora di più e ancora meglio.