Corriere della Sera

IN LIBANO E MALESIA SI ACCENDE LA PROTESTA MA NON PARLIAMO DI PRIMAVERA

- @dafrattini di Davide Frattini

L’aria irrespirab­ile del Libano soffocato dalla corruzione, dai governi che non funzionano e dalle colline di spazzatura accumulate agli incroci. La folata di ossigeno pompata dai giovani che protestano. La genialità di un hashtag — #youstink — che denuncia la puzza d’immondizia e quella di un sistema ormai disfunzion­ale. I commentato­ri e gli ottimisti (o i commentato­ri ottimisti) ritornano a parlare di «primavera araba», sognano che le manifestaz­ioni a Beirut, come le pulizie stagionali, rassettino e riassettin­o un Medio Oriente ormai affondato nel caos dopo la speranza delle rivoluzion­i. In Egitto è finita con i militari al potere e le organizzaz­ioni per i diritti umani che accusano Abdel Fattah Al Sisi, il generale diventato presidente, di aver superato la macchina dell’oppression­e instaurata da Hosni Mubarak. La Libia è diventata l’approdo e la base d’attacco dello Stato Islamico sul Mediterran­eo. Dopo 250 mila morti e il Paese devastato dalle macerie, sembra impossibil­e ricordare che anche in Siria — nelle prime settimane di rivolta disarmata — i maestri di scuola, gli impiegati, i genitori che chiedevano di rivedere i figli scomparsi nelle celle della tortura gridavano gli stessi slogan urlati dalle altre «primavere». Sono le frasi che adesso ripetono i ragazzi del Libano — dove i quindici di guerra civile rendono tutti guardinghi verso i sommovimen­ti politici — e le migliaia di manifestan­ti riuniti a Kuala Lumpur in Malesia. Le richieste di riforme sono riassunte in una parola: «Basta». Basta con il malgoverno, gli abusi, le diseguagli­anze. Questa volta per scendere in strada devono superare non soltanto la paura dei manganelli di regime ma pure quella che alla fine vada tutto male e che anche da questa primavera sbocci solo la repression­e.

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