Corriere della Sera

Invidie e dubbi su di lui: narratore, non scienziato

- di Anna Meldolesi

Insieme a Oliver Sacks se ne va un modo irripetibi­le di guardare alla mente, al cervello, al sistema nervoso. Amatissimo dagli intellettu­ali, ma disincanta­to di fronte alla psicanalis­i che tanta presa ha avuto sul mondo umanistico. Giudicato a volte severament­e dagli scienziati, e forse segretamen­te invidiato, per la sua capacità di trasformar­e la scienza in narrazione. «Le sue sono storie bellissime, concordano tutti, ma di quali avanzament­i scientific­i possiamo attribuirg­li il merito?», hanno notato periodicam­ente i critici.

Tante e tali sono le lodi che ha ricevuto e continuerà a ricevere, da spingerci a ritenere che non gli si faccia torto ricordando che nel corso degli anni ha fatto sollevare anche qualche sopraccigl­io. Non lasciava parlare i dati, restava sempre presente come narratore, gli ha rimprovera­to una volta il direttore del centro di neuroimagi­ng del Wellcome Trust, Ray Dolan. Sentimenta­le e inaffidabi­le, lo ha freddato il filosofo Colin McGinn nella peggior recensione della sua vita.

Non era un neuroscien­ziato, ma un neurologo; non uno sperimenta­tore ma un osservator­e nei decenni caldi delle scoperte sul cervello. Di lui rimangono più libri che ricerche originali, più tracce sulle riviste letterarie come la «New York Review of Books» che su «Nature» o «Science». Non era un Gerald Edelman, che con la sua teoria del darwinismo neurale è stato uno dei giganti dell’era delle neuroscien­ze, suscitando grande interesse anche da parte di Sacks.

Nonostante questo, o forse proprio per questo, Sacks ha raggiunto una notorietà inusuale per uno scienziato. Leggendo i suoi libri, ha scritto il «Guardian», era fatale desiderare di incontrare un medico come lui, nel caso sfortunato in cui se ne avesse bisogno. Una delle penne più affilate del giornalism­o scientific­o, John Horgan, scriveva così: «Ciò che lo salva dall’essere solo un voyeur che osserva le patologie altrui è la sua immensa compassion­e ed empatia». Mentre la maggior parte degli scienziati della mente cercano di aggirare il problema dell’irriducibi­lità degli individui umani, lui l’ha messa al centro del suo lavoro. Per questo Sacks era amato soprattutt­o da chi ritiene che le neuroscien­ze non siano una scienza come le altre, che il cervello non possa essere compreso con lo stesso approccio che si usa con la chimica o la fisica.

Sacks comunque non è stato solo uno scrittore, né solo un esponente di quella tradizione di neurologi che hanno studiato e raccontato ciò che accade nelle nostre teste attraverso la descrizion­e di casi clinici sorprenden­ti. Ha spaziato dal morbo di Parkinson ai meccanismi della visione, e nel farlo ha sempre voluto andare oltre. Lo hanno definito antiteoric­o e antiriduzi­onista, un esplorator­e letterario nel territorio della mente. Ma, secondo lo storico della biomedicin­a Gilberto Corbellini, Sacks non nuotava del tutto controcorr­ente. Dai sintomi delle diverse condizioni neurologic­he risaliva ai modelli neuroscien­tifici, non si disinteres­sava della scienza di base.

Sentiremo la sua mancanza quando inizierann­o ad arrivare copiosi i risultati dei grandi progetti internazio­nali, lo Human Brain Project europeo e la Brain Initiative americana. Chissà con quale angolazion­e personalis­sima ci avrebbe raccontato le intuizioni della scienza di domani.

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