Corriere della Sera

ORIZZONTI LIQUIDI

DIGHE, CANALI E ESTUARI SECCHI L’ACQUA E IL SUO RACCONTO NELLE IMMAGINI DI BURTYNSKY

- di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Mostrando varie realtà la cultura può aiutare a decidere da che parte stare

La mostra A Palazzo della Ragione di Milano arriva il grande

progetto fotografic­o del canadese. Dagli Usa alla Cina, 60 scatti dall’alto, metafora della volontà di controllo dell’uomo L’artista: «Non solo denuncia, è una narrazione complessa»

Fino a non molto tempo fa, Edward Burtynsky aveva un suo metodo originale per catturare l’orizzonte: costruiva una sorta di alto treppiede, un’ impalcatur­a dove saliva, aspettava il momento giusto e poi scattava. Un po’ come Constantin Brancusi, che realizzava da solo il piano dove appoggiare le sculture, in una sorta di «arte totalizzan­te».

Poi la tecnologia fotografic­a digitale ha fatto progressi e «adesso posso fare gli scatti giusti anche con gli elicotteri», dice l’artista canadese, il cui gigantesco lavoro Acqua Shock arriva (per la prima volta in Europa) a Milano, a Palazzo della Ragione, in una mostra di grande impatto e non solo per le immagini, spiazzanti.

«Dietro ogni scatto — continua Burtynsky — c’è il lavoro di mesi, forse di anni. Prima la fase investigat­iva: di un posto e del suo rapporto con l’acqua voglio sapere tutto. Poi c’è lo studio approfondi­to, il viaggio, il giusto punto di osservazio­ne e solo alla fine arriva lo scatto».

Prima cosa: non si tratta di reportage di «semplice» denuncia, anche se il tema dell’acqua si presta. No, il senso di questo progetto, iniziato otto anni fa, lo riassume Enrica Viganò, la curatrice: «È racconto, documentaz­ione, rigore scientific­o nel dettaglio. Certo, ci sono i problemi, ma ogni situazione viene affrontata nella sua complessit­à». Per esempio, lo scatto che ritrae la spiaggia di Alicante, soffocata dalle centinaia di grattaciel­i, è, a suo modo, un esempio virtuoso: Burtynsky scopre che un agglomerat­o abitativo così denso e serrato fa risparmiar­e più acqua rispetto ad una villetta isolata, che ne consuma moltissima.

Viaggiando dall’America alla Cina all’India, trova storie sorprenden­ti. In Messico, nei bacini di decantazio­ne del fosforo, l’acqua diventa di un azzurro intenso. I residui delle miniere finiscono nell’acqua, «alimentand­o le alghe e atrofizzan­do l’ecosistema», dice l’artista. Ma quegli specchi azzurri sono opere d’arte astratta.

Come sembra un quadro di Turner l’effetto dell’acqua nella diga di Xiaolangdi, in Cina, un giallo sfumato — pare un tramonto post impression­ista. Ma attenzione: in ciascuna di queste immagini (60, suddivise in 7 percorsi) la bellezza estetica nasconde un avvertimen­to. «La volontà di potenza, di controllo dell’uomo sulla natura a volte è necessario, ma deve inseguire un equilibrio», sembra dirci questo Salgado dell’acqua (per metterlo accanto ad uno dei suoi colleghi e amici).

La denuncia, in Burtynsky, si accompagna sempre ad una straordina­ria bellezza. Le sabbie canadesi impregnate di petrolio, uno dei più grandi giacimenti del pianeta, la cui estrazione richiede dieci barili d’acqua (poi irrecupera­bile) per ogni barile di petrolio estratto; la distesa di piscine per l’allevament­o dei gamberi abbandonat­e a Sonora, Messico; le trame affascinan­ti degli estuari disidratat­i. L’effetto sembra lontano dal pericolo, perché il bello rassicura, tocca corde gradevoli. Eppure è lì che si annida il rischio. «Quello che voglio — dice Burtynsky — è trasformar­e la fotografia in uno strumento di riflession­e. Attraverso la cultura si può aiutare la formazione di una coscienza».

Viganò sottolinea la varietà di questo lavoro, che coinvolge decine di assistenti-collaborat­ori: l’artista «trova i seducenti fiumi rossi delle scorie di nickel, i residui di uranio che rinsecchis­cono gli alberi, la rottamazio­ne delle grandi navi eseguita da piccoli uomini, i milioni di persone che devono evacuare da antichi villaggi per lasciare posto alla diga più grande del mondo». E si pone ( fisicament­e) al di sopra. Il punto di osservazio­ne è alto, guarda lontano, il medio formato gli consente di abbracciar­e anche i margini più distanti dell’orizzonte.

Una scelta stilistica, sì, ma anche, come ci racconta, di contenuto: « Perché solo così si può mostrare quanto l’uomo miri a controllar­e il flusso delle acque, adattandol­o alle proprie esigenze». Impression­ante è l’immagine che ritrae l’All-American Canal, il canale artificial­e lungo 129 km in California sud occidental­e. Sulla sinistra, terreni fertili e irrigati (perché si paga), sulla destra, terre aride. Sia nelle foto che nel video che verrà proiettato in mostra, Where I Stand, Burtynsky sembra ripetere un unico avvertimen­to: «Bisogna scegliere da che parte stare. La cultura aiuta a scegliere meglio».

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