Dai mancati bagni del re di Francia all’ossessione del corpo immacolato
La medicina della scuola salernitana non fu tenera nei confronti dell’acqua: berla non faceva affatto bene ed era sconsigliata anche per le abluzioni perché dilatava i pori della pelle e apriva la strada alle epidemie. «L’acqua, penetra tutti li porosi corpi», ammoniva Leonardo da Vinci. Fatto sta che dalla peste nera del 1348, fare il bagno suscitò riluttanza e addirittura terrore.
Luigi XIV, re di Francia, dietro consiglio dei medici che lo seguirono, in sessant’anni si immerse in una vasca una sola volta, precisamente nel 1665. Per smontare questa diffidenza ci sarebbero voluti tre secoli di pulizia asciutta e a parte le mani e la bocca le altre parti del corpo rimasero lontane dall’acqua. Ma poi l’acqua dei maghi, dei guaritori e dei riti purificatori entrò nella sfera dei fisici, dei chimici, degli ingegneri e dei pittori. I primi la studiarono per nuove applicazioni e come elemento indispensabile per lo sviluppo della produzione manifatturiera, mentre Francois Boucher, nel 1741, raffigurò una donna sul primo bidet della storia, documentando una svolta fondamentale nell’igiene intima femminile.
Alexis-Claude-Clairaut, nel 1743, elaborò la teoria atmosferica dell’evaporazione e delle precipitazioni, mentre il termalismo, l’idroterapia e la talassoterapia ne codificarono le proprietà curative. Il verbo igienico ottocentesco fece il resto. «L’acqua è un ottimo mezzo per conservare la sanità, per prevenire le malattie, per rinforzare il corpo», scriveva nel 1848 l’abate bavarese Sebastian Kneipp. I medici prescrissero docciature e bagni e perfino l’ingestione di cinquanta bicchieri di acqua al giorno facendo la fortuna di località termali e marine.
Soprattutto se offrivano scorci paesaggistici in linea con quella inedita sensibilità verso la natura testimoniata da Goethe, da Rousseau e da Flaubert, che mette in bocca a madame Bovary un romantico elogio dei tramonti sulla riva del mare. Per coloro che invece preferivano non muoversi da casa, ecco che il Tettuccio di Montecatini già nel 1762 aveva pensato bene di spedire agli interessati 122 barili delle sue pregiate acque. Una prassi che nel giro di un secolo o poco più si trasformerà in un vero e proprio affare commerciale e di costume. Grazie soprattutto alle réclame sui giornali, dove l’acqua di Pejo era magnificata «per la cura ferruginosa a domicilio», l’acqua di Roncegno per le malattie della pelle e l’acqua di Valzangona (che sull’etichetta portava l’immagine di una tigre) per combattere l’anemia. Si affermava anche un’idroterapia dei poveri, con acquedotti in grado di assicurare a ogni utente pochi litri giornalieri: uno per bere, uno per far da mangiare e due o tre per lavarsi. Oggi ogni italiano ne consuma circa 200 litri al giorno, ma all’epoca, sull’onda delle scoperte di Eberth e di Koch, cinque litri sembravano un grande passo avanti per contrastare colera, tifo e tubercolosi. Comunque, perché tutte le case potessero disporre di acqua corrente, si sarebbe ancora dovuto attendere. Ricordate il ragazzo della via Gluck, quello che per lavarsi non doveva più scendere in cortile? Da non credere, ma l’aneddoto della canzone di Celentano riguardava la Milano agli inizi del miracolo economico!
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti: gli italiani hanno rimosso il detto l’acqua fa male e il vino fa cantare e sono diventati convinti consumatori di acque minerali: 192 litri all’anno a testa, captati a canoni di sfruttamento ridicoli e imbottigliati in 140 stabilimenti. Un giro d’affari di 13 miliardi di litri e di 2,3 miliardi di euro controllato da cinque multinazionali che spingono le vendite dei 296 brand con slogan salutisti. Compreso quello della pipì facile. Così, mentre si combattono guerre per il controllo delle dighe e dei fiumi e qualche miliardo di persone ha seri problemi di approvvigionamento idrico e milioni di bambini muoiono perché bevono acque inquinate, noi sorseggiamo un’oligominerale fresca e buttiamo la bottiglia di plastica, dove capita. Altra storia.
Igiene e cultura Al tempo della peste l’acqua suscitava terrore. Oggi vince il suo potere purificante