«I muri sgretolano i valori europei» Colloquio con Ian Bremmer: «Il contratto sociale sul quale poggia la Ue sta venendo meno Serve una leadership coerente. Si va verso il decentramento, ma l’Unione non imploderà»
Ian Bremmer, nella storia degli Stati nazione l’idea stessa di confine definisce il senso d’identità di un Paese. Averla elaborata e in parte superata, per l’Europa delle frontiere aperte nata dalle ceneri della guerra, è stato un passaggio epocale. Cosa ci dicono i nuovi muri che stanno sorgendo nel vecchio continente?
«Il trionfo di valori condivisi su un passato di violenza è stato il grande successo dell’Europa. Quei valori condivisi, e il contratto sociale che ne è scaturito, ora si stanno sgretolando. Le radici del fenomeno sono la sfiducia nella volontà tedesca di lavorare per il bene comune e l’impotenza dimostrata dalle istituzioni europee di fronte alle crescenti ineguaglianze sociali. La crisi dei migranti ha portato queste dinamiche in superficie e reso ancora più urgente la condivisione degli oneri. Se la Ue non riuscirà a indicare una rotta e ad accreditarsi come fonte di benessere per tutti, i singoli Stati si ripiegheranno sul solo genere di sicurezza che credono di poter gestire — il controllo dei confini». la Svezia, continuano a dare più di quanto non ricevano, mentre ad altri come Grecia, Italia e Spagna, si chiede troppo. Quel che manca è una leadership collettiva coerente».
Per la Germania aver assunto un ruolo guida sul tema dell’accoglienza e aver rilanciato con Italia e Francia l’urgenza di un ripensamento radicale del sistema d’asilo di Dublino significa aver superato sul solo piano possibile — la gestione di una crisi «umanitaria» — la paura dell’egemonia?
«Pur tardiva, la decisione di Berlino di accogliere le richieste di asilo dei rifugiati siriani è un primo importante passo, che spero diventi un precedente. Non credo che la Germania aspiri all’“egemonia”. È un fardello che le ha già fatto troppo male. E i contribuenti tedeschi sono tutt’altro che disposti a pagare il prezzo della leadership. Tuttavia, considerate le dimensioni della sua economia e la forza del suo governo, la Germania dovrà necessariamente assumere un ruolo guida, anche solo dando l’esempio».
La frontiera dell’Europa di ieri aveva un nome freddo, «Cortina di ferro». Correva dalla Russia alla Bulgaria, concreta come il Muro di Berlino. Oltre 28 milioni di persone l’hanno attraversata in 45 anni, in fuga verso «l’Ovest». La frontiera di oggi è condensata nel nome di una città del Lussemburgo, Schengen, luogo di quegli accordi sinonimo di libertà e di Europa. L’unico problema: entrarci. Ci sono riusciti in 310 mila in questo 2015, con un tributo di oltre 2.500 vite. I check point di ieri, oggi sono barriere naturali, come il mare di Lampedusa, di Ceuta e delle isole greche. Sono tangibili come la ferrovia sulla frontiera tra Grecia e Macedonia. Sono concreti, come i muri di filo spinato messi in piedi da Ungheria e Bulgaria, che l’Estonia promette di imitare. Sono reali e fragili come il campo profughi «The Jungle» a Calais, con oltre 5 mila migranti che sognano il Regno Unito. L’ultima novità è il «passaggio a nord»: 150 siriani sono saliti fino a Kirkenes, Norvegia, circolo polare artico. A oltre 5 mila km da Damasco, una (nuova) frontiera aperta: non li ha fermati nessuno.
Rischia di diventare un modello anche la linea dura del Regno Unito, che ha trovato nello stato d’emergenza una nuova fonte di legittimazione per le tradizionali resistenze verso un approfondimento dell’integrazione comunitaria e addirittura una giustificazione per rimettere in discussione la libera circolazione. Dalla condivisione degli sforzi si sfila pure il blocco del Centro Est, per ragioni storiche e culturali. È l’inizio di un processo di disgregazione dell’Europa unita?
«L’Europa ha avviato un processo di decentramento. In molti Stati europei la politica va incontro a una frammentazione sempre più accentuata, man mano che le nuove formazioni sfidano i partiti tradizionali al potere. I rappresentanti eletti, anche quelli espressi dall’establishment, dovranno rispondere alla crescente domanda pubblica di un approccio più ostile alla Ue e alle sue istituzioni. Nel complesso però l’economia europea rimarrà stabile, se non in Consenso e leadership Le crisi possono ricreare leadership e consenso. La Germania non vuole l’egemonia ma dovrà necessariamente assumere un ruolo guida
stagnazione. E le sue istituzioni continueranno a funzionare».
Alla lunga le destre sono destinate a capitalizzare gli effetti della delicata fase di spartizione delle quote di migranti e integrazione che si sta aprendo?
«Guadagneranno terreno i partiti estremi, a destra come a sinistra, anche dove non arriveranno a esercitare il potere. Se l’Ukip ha costretto il primo ministro britannico David Cameron ad assorbire più dosi di euroscetticismo e la cancelliera tedesca Angela Merkel deve fare attenzione ad Alternative für Deutschland, allo stesso modo il governo spagnolo dovrà tenere d’occhio i consensi di Podemos e l’estrema sinistra greca badare alla sinistra ancora più estrema. All’orizzonte non vedo nulla che possa allentare la pressione sui grandi partiti».