Corriere della Sera

«Tra noi c’è chi guarda al Pd La strategia di Ncd è un’altra e io non intendo rinnegarla»

Schifani: nati per essere alternativ­i alla sinistra

- di Paola Di Caro

A Villa Certosa ribadisce non c’è stato: «Sfido chiunque a sostenere di avermi visto lì. Ero in Sardegna in transito dalla Corsica, punto. E se davvero avessi incontrato Berlusconi, non lo avrei nascosto: i nostri rapporti sono rimasti civili, non ci sarebbe stato nulla di male». Ma anche se con il leader azzurro oggi trattative in corso non ce ne sono, per il futuro non è possibile considerar­e chiusa l’esperienza del centrodest­ra per instaurare una nuova alleanza con Renzi. O almeno «non si cambia la ragione sociale di un partito senza procedure straordina­rie».

Renato Schifani, presidente dei senatori di Area popolare Ncd-Udc, prende una posizione netta sulla via che sembra stia imboccando almeno una parte del suo partito. Perché il Nuovo Centrodest­ra «è nato con una ragione sociale chiara, come indica anche il suo nome». E se la strada da imboccare cambia, ci sarà da discuterne e approfondi­tamente. Prima delle amministra­tive, che saranno il banco di prova per disegnare il futuro del partito.

Presidente Schifani, con il Pd siete alleati ormai da tempo. Non può non avere un peso anche in ottica futura

«Quando ho fondato assieme ad altri il mio partito, interrompe­ndo con dolore il rapporto con Berlusconi, è stato per due motivi: garantire la governabil­ità al Paese e realizzare le riforme utili all’Italia, attuando punti programmat­ici di centrodest­ra in un governo di emergenza, per poi tornare nell’area dalla quale provenivam­o. Era un’alleanza tattica, non strategica e politica».

La sensazione è che da allora molto sia cambiato.

«Alla Tiburtina, e al nostro congresso fondativo del 2014 la linea è sempre stata questa, e su questa linea si sono formati i nostri 10mila circoli in tutta Italia. Io stimo Renzi, ma siamo nati per raccoglier­e il consenso degli elettori moderati alternativ­i alla sinistra ma che non trovano rappresent­anza nell’attuale centrodest­ra. Se dovessimo cambiare strada andremo a rafforzare quello che è stato il nostro avversario alle elezioni, tradendo il mandato elettorale che i cittadini ci hanno dato. E se anche qualcuno volesse farlo, magari partendo dalle alleanze per le amministra­tive, bisognerà chiederlo ai nostri organismi statutari, non a una direzione nazionale».

Lei crede che molti suoi colleghi guardino ormai a Renzi?

«Beh, basta leggere le numerose dichiarazi­oni di esponenti del mio partito, anche di governo, a questo riguardo che ovviamente impegnano solo se stessi... Per non parlare poi di certe posizioni contraddit­torie sulle amministra­tive». Ovvero? «Se il coordinato­re regionale della Campania (Gioacchino Alfano, ndr) sostiene che non ci si può alleare con il centrodest­ra a Napoli perché c’è Salvini, mentre a Milano dove Salvini conta davvero è possibile farlo, un problema c’è. La politica delle scelte a macchia di leopardo fa parte di un passato che non può appartener­e ad un partito moderno come il nostro».

Il problema Salvini però è reale per voi...

«Il problema esiste. Salvini per ora cavalca una sorta di estremismo di opposizion­e, sicurament­e eccessivo. Ma non dimentico che anche Bossi evocava la secessione ed i fucili, e poi governava responsabi­lmente con noi, come non dimentico la Lega di governo di Maroni, con il quale collaboria­mo, e di Zaia».

Non sareste comunque schiacciat­i in un’alleanza tra

Lega e Forza Italia.

«Non è affatto detto: le forze minori, nelle coalizioni, hanno una forte utilità marginale, possono essere essenziali per vincere e dunque hanno spazio per pretendere che i loro temi vengano accolti e ridimensio­nati quelli degli altri. Questo per raggiunger­e un’intesa vincente».

Ma è vero che c’è un partito «governativ­o» che si sente tutelato da Renzi e vuole andare con lui e un altro, escluso, che guarda a destra?

«Conoscendo Alfano, so bene che le voci su seggi sicuri assegnati, contrattaz­ioni personali e numeri fissati sono invenzioni. Non è uomo che farebbe questo genere di patti».

Le riforme possono essere il terreno su chi si chiarisce da che parte state?

«No, non credo. Le abbiamo condivise e votate, continuere­mo a farlo, siamo nati proprio per fare le riforme».

E su temi sensibili come le Unioni Civili potrebbe avvenire una rottura?

«È un passaggio delicato, ma mi rifaccio ad Alfano: questa legge non fa parte del programma di governo. Cercherò di raggiunger­e un accordo di maggioranz­a anche se non è facile, ma un’eventuale discrasia non provocherà una crisi di governo».

Ma siamo a un bivio? È possibile che una parte di voi rompa e torni in Forza Italia?

«Io ho un gruppo compatto, non ho elementi o sensazioni di questo tipo. ma devono essere tenuti fermi i princìpi fondativi e un dibattito approfondi­to sarà necessario. Alfano ha detto che dopo le riforme avremmo fatto un check sulla nostra esperienza di governo. Sarà un momento importante dove ognuno sarà chiamato a fare i conti con la propria storia».

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