Il passaggio dal «nei» al «dai» nell’articolo 2 sarebbe stato suggerito dal servizio studi
una decisione sull’emendabilità, confidando che «il tempo che rimane venga usato in modo costruttivo» dalle forze politiche. A conferma del tempo sospeso, il consigliere del Quirinale specifica che il capo dello Stato Sergio Mattarella «non è mai venuto a conoscenza né direttamente né indirettamente di una decisione da parte del presidente del Senato, Pietro Grasso».
La frase incriminata, nella versione originale, recitava così: «La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti». Ci si riferisce ai nuovi 100 senatori eletti, 5 a vita, 74 dai consigli regionali e 24 tra i sindaci. Nella versione della Camera, appare quasi magicamente «dai quali». Perché? E chi lo propone? Luciano Pizzetti, sottosegretario alle Riforme, vicino a Maurizio Martina (minoranza dialogante), ha una sua teoria: «È una modifica fatta intenzionalmente. È stato usato come un cavallo di Troia per cambiare le riforme». Per capire, bisogna ricordare che i testi costituzionali, per essere approvati, hanno bisogno di una doppia lettura «conforme». Il ddl è stato approvato già da Senato e Camera e la maggioranza sperava che la riforma non cambiasse ulteriormente. Ma quella discordanza può essere, appunto, il «cavallo di Troia» che consente alla minoranza di chiedere il ritorno all’elettività.
Mettendo da parte ogni dietrologia su un intervento «malizioso», come nasce questo cambiamento? La risposta di Emanuele Fiano, relatore renziano, è questa: «Fu una richiesta del Servizio studi. Una correzione che risolveva un margine di ambiguità. Non potevamo dire di no». L’ambiguità sta in una discordanza: con il «nei», la durata del mandato di sindaco e del sindaco-senatore potrebbero non coincidere. Quanto al servizio studi, non è dato sapere di più: la discrezione dei funzionari è leggendaria, di interviste non se ne parla e nessuno si assume la paternità della richiesta.
Ma la semantica giuridica è inevitabilmente gravida di conseguenze politiche. Pizzetti spiega che in realtà c’era un’altra norma che ovviava al problema dei tempi. E che quindi l’intervento è stato «uno scempio», «una modifica priva di senso logico, talmente bizzarra da non essere rivendicata da nessuno». Ma, aggiunge, «è una correzione che abbiamo sottovalutato». E ora? «Un nuovo voto mi pare inevitabile. Il punto vero non è se si dovrà rivotare tutto l’articolo, ma se Grasso ammetterà tutti gli emendamenti. A mio parere, dovrebbero essere ammissibili solo quelli relativi alla questione del “nei”. Ma il nodo resta politico, non giuridico».
L’iter
Il disegno di legge Boschi sulla riforma del Senato approderà in commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama l’8 settembre
Il testo è stato subissato di emendamenti (oltre 500 mila del leghista Roberto Calderoli e una ventina dei senatori della minoranza pd). In particolare nel mirino c’è la norma sulla non elettività
Il sottosegretario Pizzetti: «È stata fatta intenzionalmente, come cavallo di Troia per cambiare le riforme»