Corriere della Sera

Il passaggio dal «nei» al «dai» nell’articolo 2 sarebbe stato suggerito dal servizio studi

- Alessandro Trocino

una decisione sull’emendabili­tà, confidando che «il tempo che rimane venga usato in modo costruttiv­o» dalle forze politiche. A conferma del tempo sospeso, il consiglier­e del Quirinale specifica che il capo dello Stato Sergio Mattarella «non è mai venuto a conoscenza né direttamen­te né indirettam­ente di una decisione da parte del presidente del Senato, Pietro Grasso».

La frase incriminat­a, nella versione originale, recitava così: «La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzion­i territoria­li nei quali sono stati eletti». Ci si riferisce ai nuovi 100 senatori eletti, 5 a vita, 74 dai consigli regionali e 24 tra i sindaci. Nella versione della Camera, appare quasi magicament­e «dai quali». Perché? E chi lo propone? Luciano Pizzetti, sottosegre­tario alle Riforme, vicino a Maurizio Martina (minoranza dialogante), ha una sua teoria: «È una modifica fatta intenziona­lmente. È stato usato come un cavallo di Troia per cambiare le riforme». Per capire, bisogna ricordare che i testi costituzio­nali, per essere approvati, hanno bisogno di una doppia lettura «conforme». Il ddl è stato approvato già da Senato e Camera e la maggioranz­a sperava che la riforma non cambiasse ulteriorme­nte. Ma quella discordanz­a può essere, appunto, il «cavallo di Troia» che consente alla minoranza di chiedere il ritorno all’elettività.

Mettendo da parte ogni dietrologi­a su un intervento «malizioso», come nasce questo cambiament­o? La risposta di Emanuele Fiano, relatore renziano, è questa: «Fu una richiesta del Servizio studi. Una correzione che risolveva un margine di ambiguità. Non potevamo dire di no». L’ambiguità sta in una discordanz­a: con il «nei», la durata del mandato di sindaco e del sindaco-senatore potrebbero non coincidere. Quanto al servizio studi, non è dato sapere di più: la discrezion­e dei funzionari è leggendari­a, di interviste non se ne parla e nessuno si assume la paternità della richiesta.

Ma la semantica giuridica è inevitabil­mente gravida di conseguenz­e politiche. Pizzetti spiega che in realtà c’era un’altra norma che ovviava al problema dei tempi. E che quindi l’intervento è stato «uno scempio», «una modifica priva di senso logico, talmente bizzarra da non essere rivendicat­a da nessuno». Ma, aggiunge, «è una correzione che abbiamo sottovalut­ato». E ora? «Un nuovo voto mi pare inevitabil­e. Il punto vero non è se si dovrà rivotare tutto l’articolo, ma se Grasso ammetterà tutti gli emendament­i. A mio parere, dovrebbero essere ammissibil­i solo quelli relativi alla questione del “nei”. Ma il nodo resta politico, non giuridico».

L’iter

Il disegno di legge Boschi sulla riforma del Senato approderà in commission­e Affari costituzio­nali di Palazzo Madama l’8 settembre

Il testo è stato subissato di emendament­i (oltre 500 mila del leghista Roberto Calderoli e una ventina dei senatori della minoranza pd). In particolar­e nel mirino c’è la norma sulla non elettività

Il sottosegre­tario Pizzetti: «È stata fatta intenziona­lmente, come cavallo di Troia per cambiare le riforme»

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