Corriere della Sera

VERSO LA RIFORMA TRA CONFLITTI E MANOVRE TRASVERSAL­I

- Di Massimo Franco

La precisazio­ne del presidente del Senato, Pietro Grasso, arrivata ieri da New York, è inusuale e insieme significat­iva. Fa capire quanto rimanga incerta la riforma dell’assemblea di Palazzo Madama; e come qualunque scelta data per scontata, oggi appaia strumental­e e tesa ad alimentare manovre torbide. Lo conferma la smentita arrivata ieri sera dal Quirinale su una qualunque comunicazi­one di Grasso al capo dello Stato, Sergio Mattarella. Un compromess­o non solo non è in vista, ma probabilme­nte non è stato nemmeno tentato.

E questo ammanta la discussion­e di un alone di nervosismo che rendono tutti guardinghi. Le parole irritate di Grasso sulla «fantapolit­ica» sono figlie di un contesto gonfio di tensioni. Ma eccessiva appare anche l’attenzione riservata ad un argomento che appassiona poco l’opinione pubblica: benché sia presentato dal governo e dai suoi nemici quasi come una questione di vita o di morte. È noto che il presidente del Senato considera inevitabil­e un nuovo voto sull’articolo 2: quello

Le tensioni Le precisazio­ni di Grasso e Mattarella confermano le tensioni e l’incertezza anche nella maggioranz­a sul futuro del Senato

sul modo in cui saranno eletti i senatori.

Eppure spera ancora che arrivi un segnale per scongiurar­e in extremis una rotta di collisione tra maggioranz­a e minoranza del Pd; e di impedire forzature che come minimo sancirebbe­ro la fine dell’unità del partito di Matteo Renzi. Per ora nessuno sembra pronto a rinunciare a qualcosa. La mossa compiuta ieri da Grasso facendo sapere che non ha ancora deciso nulla è il rifiuto di essere iscritto d’ufficio ad un fronte antigovern­ativo e antiriform­ista; e la rivendicaz­ione di un ruolo da arbitro. La preoccupaz­ione è più acuta mentre Forza Italia si schiera per premio di coalizione ed elezione diretta dei senatori; dunque, al fianco degli avversari di Renzi.

Ma quanto avviene è la metafora di uno scontro in incubazion­e. Si apre una fase nella quale sarà difficile salvare le posizioni mediane, preludio di scissioni e conflitti istituzion­ali. Il Senato diventa dunque il parafulmin­e di una resa dei conti politica e culturale. Viene scelto quel terreno perché i rapporti di forza in quel ramo del Parlamento non sembrano a favore di Renzi, nonostante la sicurezza che ostenta. Ma sarebbe un pessimo viatico in vista di un autunno segnato da crisi economica ed emergenza immigrazio­ne.

Una guerra nel Pd mentre si registra lo scarto tra le aspettativ­e create dal governo ed i risultati ottenuti, sarebbe un propellent­e per il populismo. Diventa chiaro che la riforma del Senato è caricata di significat­i impropri. Il Movimento 5 stelle dice che è tutta «da gettare nel cestino», per non offrire sponde a nessuno. Per Renzi, il pericolo non viene dalla minoranza del Pd; né quest’ultima può imputare al premier le cose che non vanno, e sperare nella sua caduta. Eppure, entrambi appaiono intenziona­ti a fare e farsi del male.

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